Accettate le dimissioni di Previti dalla Camera

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martedì 31 luglio 2007

Cesare Previti non è più un deputato. Le sue dimissioni, comunicate alla Camera che ha votato tramite scrutinio segreto, sono state accettate. I sì sono stati 462, i no 66 e gli astenuti 4. Al suo posto andrà Angelo Santori.

Durante la riunione per la votazione sulla decadenza dalla carica di parlamentare, in seguito alla condanna a sei anni nel processo Imi-Sir, è stata letta una lettera inviata al Presidente Fausto Bertinotti, nella quale l'avvocato Previti ha scritto di essersi dimesso da innocente:

« il breve termine intercorso tra la fissazione dell'ordine del giorno e la seduta odierna e lo stato attuale di detenzione domiciliare nel quale mi trovo rendono praticamente impossibile la mia presenza in aula e mi privano della possibilità di partecipare al dibattito sulla mia decadenza da deputato.

Sono innocente, e da innocente sconto una condanna ingiusta, e lo faccio nel pieno rispetto della legge, ottemperando a tutte le regole del mio stato con discrezione e convinta operosità.

Se dichiaraste la decadenza, compireste un atto di pura sottomissione del Parlamento al potere, non sovrano ma sovrastante, dell'autorità giudiziaria. La creazione di un simile precedente costituirebbe un vulnus gravissimo e irrecuperabile.

Il grande rispetto che ho per il Parlamento mi impone di fare tutto il possibile per evitare che questo avvenga. Rassegno, quindi, le mie irrevocabili dimissioni da deputato, chiedendo di voler procedere immediatamente alla relativa votazione. »

In una seconda lettera, inviata ad Elio Vito, capogruppo di Forza Italia, partito di cui Previti è uno dei fondatori, prega «di richiedere il voto palese», che però non viene concesso, dato che serve un accordo unanime.

Pareri discordanti sul decaduto mandato giungono da entrambi gli schieramenti, con Forza Italia che, attraverso il suo capogruppo, parla di Previti come «un obiettivo politico» e di una votazione che non è stata serena, mentre l'Italia dei Valori plaude: «meglio tardi che mai».

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