Stefano Quintarelli: uno dei fondatori della Rete "commerciale" in Italia

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intervista a cura di Draco

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giovedì 1 maggio 2008

Microbiografia

Stefano Quintarelli è stato uno dei fondatori di I.NET[1] nel 1994, il primo ISP commerciale in Italia orientato al mercato professionale. Ovvero il primo tentativo riuscito, in Italia, di portare la Rete fuori dal circuito universitario allo scopo di raggiungere tutti.

Preso nella rete

Incontriamo Quintarelli in una riunione di Equiliber[2] a sud di Milano, vicino ai navigli, durante la quale un ricercatore ha spiegato le ultime scoperte in campo genetico. L'atmosfera è molto amichevole e informale, i presenti sono manager, imprenditori, blogger e ricercatori universitari.

Intervista

Il business della rete

Stefano Quintarelli

W@H: Vuoi presentarti ai lettori di Wikinews e parlare di come hai vissuto, da un punto di vista personale lavorativo e di studio, gli inizi della Rete in Italia?

Stefano Quintarelli: Non posso dire che ci fosse un progetto in quello che facevo, o forse sì, ma inconsapevole. Come spesso accade uno fa le cose seguendo delle motivazioni e delle passioni e poi, guardando indietro, mettendo in fila tutti i punti, capisce il percorso che ha fatto.
Io mi sono avvicinato alla trasmissione dati per caso. A inizio 1985 avevo perso la stanza in affitto dove stavo a Milano (frequentavo Scienze dell'informazione) e quindi sono stato ospitato da mia sorella a Verona. Per iscriversi agli esami era necessario andare in biblioteca dove c'erano dei terminali che gestivano la procedura di iscrizione (prima ancora era necessario scrivere il proprio nome su dei libroni appoggiati su dei tavoli). Sono partito una mattina col primo treno che è rimasto bloccato per le eccezionali nevicate. Il traffico a Milano era poi paralizzato, gli autobus non giravano. Sono arrivato a piedi in facoltà che la biblioteca era già chiusa; sono tornato a Verona dove sono arrivato di notte. L'effetto netto è che ho perso la sessione e sono ritornato più avanti a re-iscrivermi a quella successiva.
In quell'occasione andai dal bibliotecario e gli chiesi "ma adesso che iniziano ad esserci dei modem a 110 o 300 bit al secondo a prezzi ragionevoli, perché non attaccate un modem al terminale che uno si collega da casa ed evita di venire fino a Milano?"
Giancarlo Dalto (si chiamava così) mi disse che avrei dovuto dirlo al Direttore di Dipartimento (io nemmeno sapevo cosa fosse), sicché andai da lui, il grande prof. Degli Antoni[3], o GdA come spesso si firma e si fa chiamare, uno dei fondatori del corso di laurea di Scienze dell'Informazione[4] in Italia.
Lui mi accolse con gran disponibilità e dopo che finii di raccontare mi disse "bravo, fallo!". Al che dissi che non ne ero assolutamente in grado, che non sapevo da dove iniziare, che non stavo a Milano. Lui disse "allora trova un perito in telecomunicazioni, qualcuno che ti aiuti a farlo, pubblica un annuncio in bacheca qui fuori.". Lui scrisse tre righe di richiesta di collaborazione per la tele-iscrizione agli esami e le attaccò nella bacheca fuori dalla porta. Da lì ad un mese di distanza c'erano una ventina di nomi segnati, molti dei quali sono tuttora miei grandi amici.
Ad un certo punto il gruppo era consistente, io ero ritornato a Milano, fondammo la prima associazione telematica universitaria: i "Miners" (Milano Network Researchers and Students). Realizzammo anche una prenotazione dei testi per la biblioteca, un nodo di rete Fido, una rete store and forward di posta elettronica, un interfacciamento con la rete SEVA dell'Olivetti, un laboratorio di informatica in un pensionato universitario, alcuni convegni studenteschi europei, sviluppo software di tesine per esami concordate con i docenti, collaborazione con personaggi stranieri in materia di security (come dimenticare i rapporti con Steve Chang, la co-gestione della prima BBS di John McAfee, Greg Pearson che ci diede i sorgenti firmware dell'MNP3[5] da implementare in software, o Keith Bostic che venne ad un nostro convegno a parlare del Morris Worm[6] ?).
Nel frattempo, quando ci fu da fare i primi collegamenti di posta elettronica dell'università con il CNR di Via Ampere, dove c'erano alcuni nodi di rete (tra cui bitnet, decnet ed earnet, la quale aveva dei gateway di posta verso usenet e verso arpanet), Degli Antoni trovò normale chiedermi se mi sarebbe interessato occuparmene e così ebbi occasione di entrare in contatto con le persone che stavano sviluppando la rete accademica italiana (EARN), tra cui Stefano Trumpy, Laura Abba, Daniele Vannozzi e Daniele Bovio. Insegnare ai professori universitari a usare la posta elettronica fu per me una grande soddisfazione. [7]
Le reti gradualmente si interconnetterono e migrarono a protocollo IP, diventando quello che poi, comunemente, viene chiamato "Internet". Non ci furono solo luci, anche qualche ombra, la più significativa delle quali fu un errore nel software di un test di security che si verificò a fine 1990 e che richiese qualche settimana di lavoro per sistemare le cose.
All'epoca io mi mantenevo a Milano (i miei genitori erano in sud America, io sono un emigrante rientrato) e avevo fondato con alcuni Miners della prima ora una società che si è occupata prima di sicurezza e poi di multimedia, perché con la sicurezza non si campava. Eravamo abbastanza bravi e lavoravamo per grandi clienti che proponevano lavori interessanti ma che comportavano però grandissimi ritardi sui tempi di pagamento. Il fatto di essere giovani e squattrinati, comunque, con qualche ufficio acquisti era un vantaggio.
Un nostro fattore competitivo era qualcosa che oggi pare ovvio: la capacità di acquisire informazioni tecniche approfondite in tempi brevi su pressoché qualunque argomento: dai driver di nuovissime schede grafiche al protocollo di governo di un lettore di videodischi.
Ciò era possibile perché avevamo accesso alle news di usenet (oggi chiamate solamente "news"). I nostri concorrenti dovevano aspettare che si pubblicassero libri e manuali e ordinarli negli USA. O andare a qualche congresso per incontrare le persone e poter ottenere una stampata di ciò che serviva.
Che cosa meravigliosa è la Rete!
Tanto che abbiamo pensato che tutti avrebbero voluto accedervi, che ne avrebbero tratto un vantaggio e allora abbiamo cercato, tra tutte le società di ragazzi presenti al Dipartimento di Scienze dell'Informazione, di fare un consorzio per portare internet commercialmente in Italia.
Tra le società che ne discutevamo ricordo Anthropos, Ars Informatica, CU, Inferentia, Sida Informatica, Studio Teos. Costava troppo e non avevamo i soldi. Cercavamo finanziatori ma i nostri interlocutori in Olivetti, Sip, SGS, ... ci risposero tutti picche, alcuni con motivazioni che, viste con il senno di poi, fanno abbastanza sorridere.
Ma eravamo testardi e alla fine, dopo tre tentativi nell'arco di 6 anni, abbiamo trovato un finanziatore nel gruppo Etnoteam (oggi assorbito in ValueTeam), Anthropos e Sida Informatica, nel dicembre 1993 ci proponiamo di fondare I.NET, il primo ISP italiano orientato al mercato business che forniva solo accessi IP (non in emulazione terminale). Dopo circa 6 mesi di lavoro, il 13 giugno 1994 nasce I.NET.

W@H: Vuoi parlarci della bolla speculativa del 2000, in particolare in merito ai motivi e agli strascichi? Si ripresenterà, a tuo parere?

SQ:Esiste qualche dubbio che Internet ha cambiato il pianeta? In qualunque attività lo ha fatto e in una misura sensazionale. Alcuni effetti sono giudicabili positivamente da tutti, altri sono certamente criticabili. Senza Internet non ci sarebbero le linee aeree low cost, non avremmo una informazione verificabile, non avremmo l'accesso alla conoscenza che abbiamo, saremmo vincolati in luoghi e momenti nelle nostre attività, ogni pratica si svolgerebbe in modo meno efficiente, avremmo meno relazioni con i nostri cari.
Ad ogni guadagno di efficienza del sistema, c'è una parte che ne soffre e forse è proprio la rapidità del cambiamento rispetto alla capacità di adattamento della società che acuisce certe situazioni, ma sono ottimista e considero Internet una buona cosa.
Internet ha cambiato il mondo e le promesse c'erano tutte negli anni prima del 2000. Lo slogan di I.NET era "nella corsa all'oro di Internet, noi forniamo setacci e picconi". Come in ogni corsa all'oro 100 partono e 5 arrivano. Gli ultimi anni '90 del secolo scorso sono stati per l'Italia un momento di grande fermento. Una grande disponibilità di capitali di rischio (venture capital) per finanziare start up. Certo, la mancanza della cultura del venture capital ha fatto dei danni per alcuni di questi investitori, ma il fenomeno nel suo complesso è stato molto sano. Non parlo qui della speculazione in borsa, di quello accenno tra un attimo, qui parlo del momento in cui, di fronte alla prospettiva che internet avrebbe potuto cambiare il mondo (come effettivamente ha fatto), grandi capitali si sono riversati a sostenere imprenditori con idee innovative.
Ricordiamo certi eccessi di internet company che sono arrivate a valere più della FIAT e poi sono crollate a dimensioni più ragionevoli, ma quale altro periodo è stato così denso di nascita di aziende innovative in Italia?
Le numerose <<dot com>> (punto com ma anche punto che arriva) che saltavano venivano ribattezzate <<dot gone>> (punto che ci lascia), ma un venture capital sa bene che solo una piccola percentuale delle aziende ce la fa, ma quella piccola percentuale remunera l’investimento in tutte le altre.
Diradato il fumo della speculazione finanziaria, si sono consolidate realtà come Dada, Buongiorno Vitaminic (entrambe leader a livello mondiale), Fullsix, I.NET, Fastweb, Tiscali, solo per citarne alcune.
Queste erano alcune delle aziende che giocavano la partita sul campo. Poi c'era un mercato di persone che scommettevano su queste partite e hanno dato origine a una sopravvalutazione in borsa. Quando qualcuno mi chiedeva perché il titolo I.NET perdeva così tanto, io rispondevo che non lo sapevo, che continuavo a lavorare come il mese precedente o anche di più. Nessuno di noi ha guadagnato vendendo il titolo, ad esempio, quando era a più di 200 euro. Non posso escludere che qualche manager azionista di qualche azienda possa avere agito in modo tale da beneficiare dalla vendita delle azioni a prezzi che qualcuno potrebbe ritenere "gonfiati". Io posso parlare per me. British Telecom ha fatto una offerta pubblica di acquisto di I.NET tra marzo e aprile 2007 pagando 52,3 Euro per azione. Sfortuna vuole che io abbia venduto le mie azioni tra settembre 2006 e gennaio 2007 quando il titolo viaggiava tra 46 e 48 euro per azione.
Qualcuno diceva che il titolo poteva arrivare a 500 euro per azione? Non eravamo certo noi fondatori e manager. Intendo con questo che ci sono due partite: una che si gioca in campo ed una che giocano i bookmaker, ma alla fine quello che conta è la partita che si gioca in campo.
Credo che sia nei cicli della natura umana. Ci sarà un momento di euforia per la prossima cosa grande, sia essa genetica o nanotecnologica. Business angel e venture capital finanzieranno la nascita di nuove aziende. 100 verranno finanziate e 5 ce la faranno. E questo è positivo, molto positivo. Alcune si finanzieranno ulteriormente in borsa o si collocheranno per garantire una continuità aziendale oltre i fondatori. Qualcuna sarà oggetto di speculazione con titoli spinti verso l'alto e poi ridimensionati.
Basta non essere attratti da facili guadagni. In genere, i soldi che arrivano facilmente se ne vanno facilmente. Se si inseguono guadagni ingenti e in fretta speculando, si deve mettere in conto di restare con un pugno di mosche e a ben vedere, anche questo è positivo. Diventa negativo nel momento in cui qualcuno abusa della propria posizione ed informazioni privilegiate per comprare basso e vendere ai massimi e qui, il compito è delle autorità .

W@H: Quali difficoltà e quali pro nel business della rete in Italia, è più facile o più difficile essere un precursore?

SQ: E' una domanda alla quale non saprei come rispondere compiutamente. Certo, essere un "first mover" aiuta, ma forse la cosa più importante è avere un tema dove c'è qualcuno che sappia guidare lo sviluppo in senso di business. Prendiamo ad esempio i Beatles: sarebbero divenuti ciò che sono divenuti senza che ci fosse George Martin? Ecco, credo che questa sia la determinante principale. Anche per questo sono uno dei promotori di "1st Generation Network", l'associazione degli imprenditori innovativi di prima generazione che, tra le altre cose, svolge attività di mentorship, di affiancamento, sostegno ed indirizzo per giovani imprenditori.

Futuro e progetti

Stefano Quintarelli nel 1987 ad un convegno sui virus

W@H: So che uno dei tuoi miti è Giovanni degli Antoni, vuoi parlare del tuo rapporto con lui e del motivo per il quale è importante per la cultura in Italia?

SQ:Il mio Prof, il mio grande amico. Purtroppo lo sento e lo incontro poco, troppo poco. Beh, che dire, lui è quello che ha portato l'informatica nell'università in Italia, prima che si chiamasse così, quando ancora si chiamava Cibernetica. Lui è una delle 2-3 persone da cui ho imparato di più nella vita e certamente quello che mi ha spinto di più, quello che mi ha incoraggiato a fare e ad osare. Non solo me, nel periodo in cui lui era il direttore del dipartimento sono nate la maggioranza delle aziende di informatica da parte di studenti. Quattro di queste sono cresciute a livelli importanti arrivando a quotarsi in borsa. Quale altro accademico italiano può vantare un record di questo genere?
A me ha insegnato ad andare in fondo alle cose, ad essere curioso e ad osare. Con il suo esempio, tra i primi ad arrivare e sempre l'ultimo ad andare via, mi ha insegnato la passione e l'impegno. Cosa può darti di più il tuo professore?
Ci sono molti che distruggono ricchezza, molti che la spostano e pochi che la creano. Ecco, "Gianni" è uno di quelli che ne ha creata di più in Italia.

W@H: Cosa è Equiliber?

SQ:Ci sono alcune persone con cui magicamente entri subito in sintonia. Persone che non conosci, con cui inizi a parlare di cose complicatissime e dopo 3 frasi arrivi a parlare del dettaglio microscopico che è centrale alla questione e su quello, ne condividi il punto di vista.
Succede poche volte e a me è successo con Luca De Biase[8]. Quando ci siamo conosciuti lui stava attraversando un periodo difficile. Stava facendo una serie di scelte molto coerenti sul piano personale ma molto difficili sul piano professionale.
Concordavamo sul fatto che, allora, l'informazione sulla tecnologia in Italia fosse per lo più ridotta a propaganda aziendale, con poco ragionamento e senza critica. Abbiamo pensato di fare un periodico ma fatto quattro conti abbiamo abbandonato l'idea, sia cartaceo che su Internet. Però volevamo fare qualcosa. E il qualcosa si è materializzato in una associazione di persone, di tecnologi, persone che hanno un certo grado di visibilità e che sono presenti spesso in momenti pubblici, che si incontrano regolarmente e approfondiscono temi tecnologici arrivando fino ai dettagli, formandosi una opinione il più possibile compiuta sulle questioni, cercando di capire le conseguenze delle cose ed essendo quindi in grado di esprimere pareri e diventare portatori di una informazione equilibrata.
All'inizio, oltre agli incontri fisici, producevamo un discreto numero di contenuti sotto forma di incontri e articoli; ora è aumentata di molto la nostra partecipazione a convegni; sono nati i blog e periodici come Nova 24 ospitano spesso nostri contenuti. Siamo meno "ristretti", un po' più diffusamente presenti, più amalgamati in ciò che avviene in Italia e questa mi pare una buona cosa.

W@H: Prevedi qualche novità a breve in campo tecnologico nel campo delle reti?

SQ:Ci sarà l'implementazione delle reti Wimax, anche se mi sembra che potrebbero essere over-hyped rispetto a ciò che si potrà effettivamente fare sui 3,5GHz. Per il resto direi calma piatta anche se, un'eventuale separazione della rete di Telecom Italia determinerebbe una accelerazione nella realizzazione di una nuova rete che nel giro di 4-5 anni determinerebbe un aumento della banda di picco arrivando a 50-100Mbps (quasi un milione di volte di più di quando ho iniziato io!).
Nello stesso orizzonte temporale vedremo un aumento della copertura wireless a alta velocita con HSUPA e le prime coperture con LTE (long Term Evolution), una tecnologia che consente picchi di download wireless a oltre 100Mbps.

Wikipedia e non solo

W@H: Quale è il tuo rapporto con l'open content (e con il concetto di licenza open in senso ampio compreso open source)? Credi che l'open source abbia cambiato e cambierà il modo di considerare e usufruire le tecnologie?

SQ:Devo essere sincero, il movimento open source si può dire che sia nato quando io avevo già appeso la tastiera al chiodo. Però sono fortemente critico delle norme sulla proprietà intellettuale che esistono oggi, che non si sono ancora adattate ad un mondo smaterializzato ed interconnesso, di fatto limitando la possibilità di sviluppo.
Penso che sia normale, che ci vorrà del tempo ma che i pezzi alla fine si incastreranno in un modo migliore, e questo grazie al fatto che le persone interessate sono tante con atteggiamenti vari, dai più mediati ai più estremi.
I termini "proprietà intellettuale" non mi piacciono, sono fuorvianti. Il patrimonio intellettuale è collettivo e le società per incentivarne lo sviluppo si impongono un costo consentendo dei diritti di monopolio. E' una natura profondamente diversa da un diritto di proprietà fisica inteso in senso tradizionale. Certamente è un diritto che può e deve essere rivisto con il mutare delle condizioni al contorno e dell'ambito specifico.
Inoltre, ogni forma di proprietà viene tassata e ogni proprietà presenta dei costi di manutenzione, ad eccezione della cosiddetta "proprietà" intellettuale espressa dal Copyright.
Personalmente ritengo, come ho descritto negli articoli art-1 e art-2 che sia importante ridefinire le regole e in fretta; il mondo è più complesso ed offre molte possibilità in più che richiedono una sfumatura diversa da "tutto proibito" o "tutto permesso", anche se mi rendo conto delle difficoltà derivanti da un insieme di trattati e norme che si auto-sostengono a livello internazionale.
Le misure tecniche di protezione dei contenuti in rete mi sembrano una perdita di tempo e di energie da parte dei titolari dei diritti, mentre vedo di buon occhio una gestione dei diritti digitali che consenta di associare ad ogni contenuto un insieme di informazioni circa i diritti associati, facilitando il riutilizzo delle opere e soprattutto la certezza del quadro legale.
Con il progressivo aumento della quantità di informazione incorporata nei prodotti, penso che sia importante mettere anche mano al sistema dei brevetti; in particolare in due aree. La prima è la variabilità della durata: il ciclo di vita del software dura meno di un decimo del ciclo di vita di una centrale termoelettrica; probabilmente aiuterebbe maggiormente la società differenziare le durate dei diritti. Un altro aspetto, che può essere associato al precedente, è la differenziazione dei costi di manutenzione dei brevetti. Si possono pensare meccanismi progressivi, che penalizzino la manutenzione di brevetti non utilizzati, in modo tale da incentivarne il passaggio nel pubblico dominio. Si può pensare a costi variabili per garantire una parità di diritti, sostanziale e non solo formale, tra il colosso economico e l'individuo, legando i costi di manutenzione, ad esempio, al reddito generato dal brevetto.
Ma la prima e più importante cosa, è che si apra un dibattito. Stiamo vivendo un momento di svolta. Siamo in un periodo in cui vengono ridefinite le regole economiche alla base della società, come effetto della massiccia penetrazione delle tecnologie digitali. Il potenziale è enorme: generare una quantità di ricchezza che, in ultima analisi, è limitata non più dalle risorse naturali ma dalle nostre menti. Un rischio è guardare al mondo di domani con gli occhi di ieri cercando di proteggere legittimi interessi di soggetti economici operanti in quella che fino ad oggi, si chiama "industria del copyright" sulla base di categorie mentali che la tecnologia renderà rapidamente obsolete. Combattere questa battaglia di difesa forse non è il miglior investimento delle energie positive che possono essere spese per concepire e stabilire nuove regole e nuovi business model in un nuovo ordine economico.
Aggrapparsi al passato può rischiare di essere un freno per il futuro; difendere modelli economici che la tecnologia renderà sempre più impraticabili può creare una barriera allo sviluppo che potrà essere difesa anche a lungo, ma che presto o tardi crollerà. Prenderne coscienza vuol dire accorciare questo periodo di transizione che ci tiene lontani da un futuro che già ci appartiene e che è migliore.

W@H: Conosci Wikipedia? La usi? Cosa ne pensi?

SQ:Googlepedia è una delle estensioni di Firefox di cui non posso fare a meno.

W@H: Conosci gli altri progetti WMF? (Wikinews per cui stai dando un'intervista, ad esempio.)

SQ:Certo, uso spesso Wikiquote e Wiktionary. Per quanto riguarda Wikibooks, mi sono sempre chiesto perché non viene avviata una cooperazione con i progetti Gutenberg o Manuzio (liberliber).

Note e collegamenti esterni

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Questa intervista esclusiva riporta notizie di prima mano da parte di uno dei membri di Wikinotizie. Vedi la pagina di discussione per avere maggiori dettagli.


  1. I.NET
  2. equiliber
  3. Gianni degli Antoni
  4. Dipartimento Scienza dell'informazione
  5. MNP, Microcom Networking Protocol
  6. Morris Worm
  7. http://blog.quintarelli.it/blog/2006/12/amarcord-da-qua.html
  8. http://blog.debiase.com/