Ue: accolto il ricorso di Europa 7; illiberali le assegnazioni di frequenze in Italia

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giovedì 31 gennaio 2008

Il logo della Corte di Giustizia

Si prospetta forse l'ultimo capitolo del caso giudiziario noto come Lodo Retequattro; oggi la Corte di Giustizia, in relazione alla causa che contrapponeva l'emittente televisiva Europa 7 al Ministero delle Comunicazioni, si è espressa dando ragione ad Europa 7, ricusando il metodo di assegnazione delle frequenze radiotelevisive in Italia, definito: "contrario al diritto comunitario".

La Corte ha specificato come in Italia la materia sia stata affrontata sempre con soluzioni di compromesso, con "regimi transitori", costruiti per favorire gli editori consolidati, cosa che ha propriamente impedito l'accesso al mercato ad altri soggetti privi di radiofrequenze. In particolare il giudice sottolinea come non si sia fatto nulla per attuare il piano nazionale di assegnazione per le frequenze, permettendo agli occupanti abusivi il continuare a trasmettere, e come questa situazione sia rimasta cristallizzata negli anni.

Europa 7, dopo essersi viste negate le radiofrequenze a cui aveva diritto dal 1999 per aver vinto il bando, intentò una causa per ottenerle, insieme ad un risarcimento, ma il giudice amministrativo respinse entrambe le richieste. Il Consiglio di Stato si rivolse allora alla Corte di Giustizia, che ha dato ragione ad Europa 7; la Corte: "sottolinea che in Italia il piano nazionale di assegnazione delle frequenze non è mai stato attuato per ragioni essenzialmente normative, che hanno consentito agli occupanti di fatto delle frequenze di continuare le loro trasmissioni, nonostante i diritti dei nuovi titolari di concessioni".

La sentenza, vincolante per il Consiglio di Stato, obbligherà l'Italia a porre rimedio, facendo rivedere al Parlamento la "legge Gasparri", e facendogli prendere posizione in merito ai necessari spostamenti di emittente dall'analogico al digitale.

Il gruppo Mediaset, prima della sentenza, ha dichiarato in una nota diffusa a livello stampa, che essendo la causa in corso una richiesta di risarcimento da parte di Europa 7 contro lo Stato italiano, la sentenza prodotta non può essere vincolante per decisioni sulle assegnazioni delle frequenze, e che Retequattro non sta affatto occupando uno spazio di Europa 7, ed ha quindi pieno diritto di trasmissione.

La questione Europa 7[modifica]

Da ormai sette anni e mezzo, da quando nel luglio 1999 vinse il bando per l'assegnazione delle frequenze nazionali, Europa 7 tenta di subentrare a Rete 4, che tuttavia è stata reiterate volte salvata da decreti ministeriali. Infatti, nel 1999 vi fu un primo blocco: la licenza data ad Europa 7 prevedeva l'inizio delle trasmissioni entro il 31 dicembre (6 mesi dopo l'assegnazione, pena la decadenza della concessione), e in tal senso venne approntato un piano con 700 assunzioni, un centro di produzione a Roma da 20000 metri quadri munito di 8 studi di registrazione con una forte programmazione prevista. E in effetti, non si sarebbe dimostrata negligenza di Europa 7 la mancata utilizzazione di tali frequenze, perché queste dopo l'assegnazione, non sarebbero mai state concesse materialmente.

In effetti, tutto sembrava procedere bene per il gruppo di De Stefano ma con una autorizzazione ministeriale venne permesso (notare che all'epoca vi era un governo di centro sinistra) a Retequattro di continuare a trasmettere, anche se in via provvisoria, in quanto venne fatta assicurazione ad Europa 7 riguardo un programma di adeguamento al piano d'assegnazione delle frequente. Europa 7 ricorse contro tale decisione ottenendo dal Tar una sentenza favorevole nel 2004, in quanto venne ravvisata la necessità di assegnare le frequenze subito dopo la concessione, senza rimandare ad una futura favorevole occasione per cause non ben specificate, da parte dello Stato.

Nel 2002, per la seconda volta, la Corte Costituzionale ha ribadito che Mediaset non poteva avere più di due emittenti a livello nazionale, e che una rete doveva essere liberata per Europa 7 in qualità di vincitrice del bando.

Nel 2003 il governo di Silvio Berlusconi, proprietario del gruppo Mediaset, vara la legge Gasparri sul riassetto del sistema integrato delle comunicazioni (ivi incluse anche quelle radio-televisive), legge respinta dall'allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, che richiamava la sentenza della Consulta del 2002. Il Parlamento, tuttavia, approvò nuovamente il disegno di legge, costringendo Ciampi alla promulgazioni, unitamente al decreto "salva-Rete 4", che in palese contrasto con la sentenza della Consulta, permetteva a Rete 4 di continuare le trasmissioni in analogico.

Da questo decreto è scaturito il ricorso al consiglio di Stato da parte di Europa 7, con richiesta di risarcimento di 3 miliardi di euro contro lo Stato italiano. Il Consiglio di Stato ha quindi deciso di rivolgersi alla Corte di Giustizia europea, la cui avvocatura aveva già ricordato nel settembre 2007 che se la gara del 1999 era valida, i risultati della stessa devono essere perentoriamente rispettati, con conseguente perdita, da parte di Rete 4, del diritto di trasmettere in analogico. Oggi la sentenza della Corte di Giustizia europea ha confermato le prole dell'avvocatura di Stato, bocciando la legge Gasparri.

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Fonti[modifica]