Allarme mondiale per i prezzi: rischio fame per 100 milioni di persone

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Sabato 12 aprile 2008

Per vari motivi, la produzione agricola non riesce a soddisfare la richiesta

Mentre in Italia l'attenzione è mantenuta alta da settimane sulla crisi di governo e sulle elezioni, nel resto del mondo si stanno verificando importanti eventi che per ora, ma forse non già nel già prossimo futuro, passano abbastanza 'sottotraccia'.

Come si può facilmente immaginare, se i prezzi aumentano sono i più poveri a subirne gli effetti. E se questo accade in Italia, che è una delle nazioni del G7, cosa potrà essere delle popolazioni di terre già povere o impoverite da decenni si può solo definire come 'catastrofe' umanitaria e ambientale.

  • Tunisia: sono 3 giorni che nella regione mineraria di Gasfa infuriano proteste contro il carovita, che anche sui beni primari sta attanagliando la popolazione locale.
  • Egitto: agitazioni per la carenza e l'alto costo del pane: scontri ad El Cairo tra poveri e forze di polizia.
  • Senegal: proteste da Marzo
  • Camerun: proteste violente: circa 40 vittime.
  • Costa d'Avorio, Etiopia hanno in corso agitazioni tali che il governo di quest'ultima nazione ha organizzato la distribuzione di cereali come misura d'emergenza.
  • Messico e Argentina, Thailandia e Pakistan sono tutte nazioni scosse da crisi alimentari.

Cosa sta succedendo? Non si capisce bene e l'analisi è tutt'altro che univoca: certo è che l'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari di prima necessità sta avvenendo, e molto rapidamente. I fattori indiziati sono almeno 5, tutti certamente importanti -ma non è chiaro in che misura- nella formazione del prezzo e della situazione di crisi attuale. Marcel Giugale, della Banca Mondiale elenca le 5 concause: uno è costituito dai sussidi della produzione agricola incentrati sui cosiddetti 'biocarburanti', nuovo affare per fronteggiare la crisi petrolifera ma catastrofico per la competizione con la produzione agricola vera e propria. Un altro è l'aumento del costo del gasolio, che da solo contribuisce alla maggior parte del costo della moderna agricoltura; idem per i fertilizzanti, e poi v'é il consumo di carne che gli asiatici stanno aumentando, carne che ovviamente non è 'producibile' senza devolvere grandi quantità di cereali agli allevamenti; infine la speculazione che sta facendo non solo danni materiali, ma anche molta confusione nell'analisi del problema e delle relative soluzioni. Solo negli ultimi 2 mesi i prezzi sono aumentati in maniera allarmante, negli ultimi anni sono triplicati e questo causa tali problemi che altri 100 milioni di persone sono a rischio povertà, aumentando dal 3 al 5% il relativo indice. È un risultato drammatico, specie se si considera che fino a non molto tempo fa esisteva l'intendimento di 'dimezzare gli affamati' entro il 2015. Invece la FAO prevede un aumento dei cereali per quest'anno del 56% soprattutto a causa dei trasporti, che aumenteranno le tariffe del 70%, nonché per le sementi e i fertilizzanti, con un aumento previsto dal 30 al 70%. Inoltre, non bisogna dimenticare la proliferazione degli OGM che sono sementi sotto 'copyright' il che causa problemi non di poco conto agli agricoltori. I quali ultimi stanno abbandonando le campagne per ingrandire sempre di più le città, diventate invivibili megalopoli circondate da baraccopoli. Questo cambiamento è talmente reale che l'anno scorso, per la prima volta, il numero dei cittadini ha superato quello degli abitanti delle zone rurali. Alla base vi sono anche problemi che passano sotto traccia, come le condizioni di molti agricoltori. Si sa che molte azionde sarde che, per una brutta storia di finanziamenti dichiarati illegittimi dalla Comunità europea, stanno andando in bancarotta, ma in India non è diverso, tanto che moltissimi contadini indiani si suicidano perché insolventi. È per problemi come questi che sono state concepite iniziative quali il microcredito.

La FAO è oramai arrivata a temere una vera crisi mondiale. Anche in Africa, continente culla del genere umano ma traviato da tremende sofferenze, soprattutto nel periodo post-coloniale (quando di fatto i neo-Stati si sono ritrovati politicamente estremamente deboli) la percentuale di popolazione che abita in città è aumentata fino al 50%, e la tendenza è per un rapido aumento. Le campagne vengono abbandonate, la produttività dei nuovi poveri nelle baraccopoli è ovviamente opinabile (una volta in città sono sostanzialmente manovalanza a bassissimo costo), e certo non funzionale alla produzione di beni primari. Gli Stati si stanno indebitando. La Banca Mondiale, ente non propriamente al di sopra di ogni sospetto e critica, si è premurata adesso di attaccare i biocarburanti come competitori per la produzione di alimenti: il presidente Robert Zoellick ha detto: «Gli americani si preoccupano di come riempire i serbatoi delle loro auto, ma c’è gente che non sa come riempire lo stomaco». In realtà anche negli USA esistono decine di milioni di poveri, ma c'è situazione e situazione, inoltre vanno tenute in conto le difficoltà contingenti: malattie infettive, siccità, carenza di mezzi di comunicazione. Alla vigilia del G7 di Washington, apertosi l'altro ieri e senza tanti clamori, Zoellick ha chiesto 'maggiore sensibilità' ai Paesi maggiormente impegnati in questa produzione. Nel mentre la Banca Mondiale continua tuttavia a finanziare con miliardi di dollari progetti di grandi dighe (che in Cina stanno provocando problemi a milioni di persone) e impianti a carbone (certamente non la migliore risposta per la calmierazione del livello di CO2 nell'atmosfera). Soprattutto, l'Agenzia europea per l'Ambiente ha chiesto all'UE di rinunciare all'obiettivo di produrre il 10% della benzina verde coi biocarburanti entro il 2010. I biocarburanti sono un motivo di grave preoccupazione nel Terzo mondo, perché la loro massiccia produzione comporta, specie nelle grandi estensioni come quelle controllate dai 'Fazenderos' in Brasile, la catastrofica distruzione delle foreste tropicali, vittime di monocolture atte solo a produrre biodiesel.

Dice Louis Michel, commissario europeo: «Si profila uno choc alimentare mondiale, meno visibile di quello petrolifero, ma con effetti potenziali di un vero tsunami economico e umanitario in Africa».

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Fonti[modifica]