Andreotti condannato per diffamazione, imminenti le motivazioni

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lunedì 3 settembre 2007

Imminenti le motivazioni della sentenza con la quale il senatore a vita Giulio Andreotti, lo scorso 15 giugno 2007, è stato condannato a 2 mila euro di multa (pena interamente condonata per effetto dell'indulto) dal Tribunale di Perugia per avere diffamato il magistrato Mario Almerighi, al quale è stata assegnata una provvisionale come risarcimento del danno di 20 mila euro.

La vicenda trae origine dalla deposizione che, nel giugno del 1997, Almerighi, attualmente Presidente del Tribunale di Civitavecchia, rese davanti alla Procura e al Tribunale di Palermo in occasione del processo per mafia ad Andreotti.

In particolare, Almerighi riferì relativamente ad un colloquio telefonico intercorso tra il senatore ed il ministro della Giustizia dell’epoca, durante il quale il primo avrebbe invitato l’altro a non far nulla contro il magistrato Corrado Carnevale, nei cui confronti era stato presentato un esposto al Consiglio superiore della magistratura.

Nell'ottobre del 1999, il senatore a vita criticò, in tv e sui giornali, la deposizione del magistrato, dichiarando quanto segue: «Almerighi ha detto infamie, si tratta di un falso testimone"; "Almerighi è pazzo, dica quello che vuole, mi procura solo divertimento"; "magari mi fa un'azione penale: mi farebbe guadagnare forse qualche cosa in sede civile, potrei guadagnare qualcosa in sede civile e ciò non guasterebbe».

Andreotti, inoltre, aggiunse che era molto grave che a rendere dichiarazioni false fosse un magistrato e che della vicenda doveva essere investito anche il Csm.

Almerighi, ritenendo quelle dichiarazioni gravemente lesive del suo onore e della sua immagine, presentò querela nei confronti del senatore.

Di qui il relativo procedimento penale del quale si è occupata la procura di Perugia, per il coinvolgimento come parte offesa di un magistrato in servizio a Roma.

Della vicenda si è occupata anche la Corte Costituzionale, a seguito del conflitto di attribuzione sollevato dal G.U.P. del Tribunale di Perugia, la quale ha avuto modo di rimarcare come le dichiarazioni del senatore Andreotti, oltre a contenere «valutazioni prettamente soggettive»" che comportano l’attribuzione di un reato ben preciso, ossia quello di falsa testimonianza («Almerighi ha detto infamie», «si tratta di un falso testimone» etc.), si risolverebbero anche nell’emissione di un giudizio di colpevolezza, che certamente spetta all’Autorità giudiziaria («la verità è emersa in modo molto netto e questo scredita la testimonianza di Almerighi»), nonché evidenziare che la prerogativa di cui all’art. 68, primo comma, Cost. come non si estende fino a coprire gli insulti, non può neppure riguardare dichiarazioni che, risolvendosi nell’attribuzione di illeciti penali, non possono certamente essere espressione della funzione parlamentare.

La Corte Costituzionale ha anche osservato come le dichiarazioni, tra l’altro, oltre a caratterizzarsi per la pesantezza di alcune espressioni («Almerighi è pazzo, dica quello che vuole. Mi procura solo divertimento»), farebbero anche emergere un interesse del tutto personale (e patrimoniale) del senatore Andreotti verso la vicenda, interesse sicuramente estraneo alla funzione parlamentare («magari mi fa un’azione penale: mi farebbe guadagnare forse qualche cosa in sede civile», «potrei guadagnare qualcosa in sede civile e ciò non guasterebbe»).

I legali di Andreotti - gli avvocati Franco Coppi, Giulia Bongiorno e Chiara Lazzari - hanno, invece, sostenuto che quella del loro assistito fu una "critica assolutamente legittima" e preannunciato l'appello, ritenendo ingiusta la sentenza di primo grado, anche alla luce della sentenza della Corte di Appello di Palermo, che aveva ritenuto inattendibile il teste Almerighi.

Fonti