Fame e povertà nel mondo, varie novità

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martedì 6 maggio 2008

Energia e alimenti, progresso e commercio sono sempre più integrati e sinergici, e questo sia nel bene sia nel male. Per tentare di mettere sotto controllo i problemi che penuria, speculazioni e altri imprevisti causano anche alle economie dei Paesi più ricchi, è necessario tentare nuovi approcci rispetto a quanto fatto finora. E dal momento che mai come adesso sta prendendo piede la consapevolezza della limitatezza delle risorse disponibili, si sta almeno tentando di razionalizzarne l'uso. Ecco alcuni esempio di quello che nel Terzo mondo si sta tentando di fare.

L'OREP[modifica]

Per combattere la crisi alimentare, sabato scorso a Giakarta è stata formata una struttura di controllo con una decisione inizialmente presa nell'ambito dell'associazione dei Paesi del Sud-Est Asiatico (ASEAN), per favorire un processo di stabilizzazione dei prezzi del cibo, soprattutto di quelli del riso, come dichiarato dal ministro del commercio indonesiano, Marie Elka Pangestu, a una radio locale. Il nome della nuova struttura multinazionale sarebbe OREC, ovvero Organizzazione degli Stati esportatori di riso, qualcosa di simile all'OPEC come idea di base. I contatti sono stati avviati anche con alcune nazioni non dell'Asean, come Laos, Vietnam e Birmania. Il problema è che la situazione sta sfuggendo al controllo. La Thailandia, per esempio, che pure è la terza produttrice di riso al mondo, ha ridotto l'export, e così ha fatto l'India, il Brasile, la Cambogia. Gli USA hanno riequilibrato con l'aumento della produzione di riso, ma questo non è stato sufficiente e infatti i prezzi stanno continuando a salire. Questo ha fatto dire a Haruiko Kuroda, della Asian development Bank, sempre sabato scorso ma dall'altro capo del mondo, in un meeting a Madrid: «Il cibo a poco prezzo è acqua passata».

Questa non è certo una buona notizia per un mondo in cui gli affamati sono circa un miliardo e che si prefiggeva di dimezzarne il numero (nel senso di migliorarne la condizione) entro il 2015. Ora invece la situazione è la seguente: il riso, che sfama come alimento base circa 2,5 miliardi di persone, ha un costo che a fine aprile è arrivato a circa mezzo dollaro per chilogrammo, e questo nonostante la decisione americana di aumentare la produzione del 3%. Nel settore degli alimenti base è stato calcolato dall' ONU un aumento del 57% in un solo anno, marzo 2007-2008. La conseguenza è particolarmente grave per via del fatto che i prezzi degli alimentari sono molto importanti per le economie più povere, per esempio in India l'inflazione è cresciuta del 7,7%. Se questo non è senza conseguenze per la popolazione più povera e anche per la classe media, dall'altro lato aiuta le multinazionali del settore alimentare a guadagnare in maniera molto consistente, grazie alla dinamica instabilità dei mercati telematici (con rischi di speculazione) come la Bmti, che è la Borsa merci italiana per i prodotti alimentari. Le cui transazioni del 2007 sono arrivate a 200 milioni d'euro con una crescita del 150% rispetto all'anno precedente. I contratti sono arrivati a 3.000, il doppio dell'anno scorso e in continuo aumento.

Lo Sri Lanka e il riso[modifica]

Lo Sri Lanka è un altro caso emblematico dei tempi moderni: ora che il costo del grano è arrivato a circa 400 dollari alla tonnellata, la situazione che si prospetta è il cambio di alimentazione, puntando sul riso. Ma questa non è certo una novità. Il riso era coltivato da millenni, solo che dagli anni 1970 è stato imposto di fatto l'uso di grano importato, prima come aiuto 'gratuito' e poi con forniture a credito. Insomma, un consumo 'indotto' come quello che dal dopoguerra ha spinto il Giappone ad aumentare di molto la sua scarsa alimentazione carnea. Lo Sri Lanka era una nazione ricca fino a non molti decenni fa, con un'economia florida, e le piantagioni di riso costituivano il 93% delle esportazioni. Poi ha preso piede l'industria tessile, è stata trascurata l'agricoltura di base per i prodotti export, ma lo Stato ha accumulato debiti per importare farina di grano. In teoria il grano, rispetto al riso, era anche più economico da produrre in proprio, ma di fatto l'autosufficienza alimentare ne ha sofferto al punto che l'11 aprile è stato incluso dalla FAO tra i Paesi in 'emergenza alimentare'. A questo punto la misura è stata proprio colma, e si è lanciata una campagna per tornare a coltivazioni nazionali e sostenibili. Non è possibile e accettabile per un Paese teoricamente autosufficiente spendere 1 miliardo di dollari all'anno per importazioni alimentari e annullare così i guadagni delle esportazioni di tè e tessuti. È stato così previsto un piano per ampliare l'area coltivabile di 50 mila ettari con incentivi di 40 euro (o meglio, 6000 rupie) per ciascun ettaro messo in coltivazione, destinati a comprare semi e quanto occorrente per l'operazione. È una reazione molto necessaria data la situazione; purtroppo, specie nell'area NE dell'isola, la guerra civile con le Tigri Tamil non aiuta affatto la programmazione economica, anzi, assieme al recente tsunami ha contribuito a impoverire la popolazione rurale, vittima di decenni di conflitti.

Africa, dati utili per capire[modifica]

L'Africa subsahariana ha 44 Paesi, e la loro caratteristica generale è quella di un grave ed endemico sottosviluppo. Sono molti i problemi ma non necessariamente ben noti al grande pubblico. La guerra civile del Congo, per esempio, ha provocato milioni di morti senza che quasi ve ne fosse traccia nei mass-media occidentali. Ecco altri elementi di sicuro interesse:

  • Mauritania, crescita economica del 19,8% annua. Costa d'Avorio, invece, solo l'1%. Lo Zimbawe ha un'inflazione dell'8000%, che rende praticamente carta straccia la moneta nazionale. Il Sud Africa invece produce il 45% del PIL di tutto il continente.
  • Armi: 18 miliardi spesi in 15 anni da parte di 23 dei Paesi africani. Nel frattempo il 41% della popolazione vive con meno di un dollaro per ogni giorno.
  • Zone 'franche': calcolando l'indice di sviluppo umano, Human Development Index, si vede che solo Mauritius e Seychelles ottengono punteggi alti, 15 nazioni 'medi', tutte le altre bassi, con la Somalia che chiude mestamente la classifica.
  • Buone notizie: nel 2007 la Banca Mondiale ha certificato un tasso di crescita del 5,4%, i telefoni sono aumentati del 328% in 10 anni (L'Africa è uno dei mercati più dinamici nel settore dei cellulari, data la saturazione di altre zone del pianeta e la mancanza di infrastrutture in Africa, che rendono difficile far arrivare le linee telefoniche ovunque necessario se questo avviene con cavi convenzionali),i rubinetti d'acqua potabile aumentati del 18%, elettricità prodotta con un aumento del 43,5%. La Liberia ha avuto rimesso il debito di 842 milioni di dollari dall' FMI.
  • I Cinesi stanno investendo miliardi di dollari in Africa, attirati dalla sua ricchezza di materie prime e dopo gli americani sono i principali patner, solo che i loro investimenti non sono per nulla legati a condizioni politiche e democratiche. Tra Zambia ed Egitto sorgerà forse una serie di tre regioni macroeconomiche a gestione mista africana e cinese. Le barriere doganali saranno abbattute quest'anno, il mercato comune africano è previsto per il 2015, la moneta unica nel 2016. Tutto questo dovrebbe aiutare l'economia africana, ma dati i precedenti (nei quali l'Africa è stata puntualmente sfruttata, si pensi alla tratta di schiavi che ha coinvolto almeno 30 milioni di persone in 4 secoli, e che non si ancora del tutto esaurita) non è detto che questo accada.
  • Salute. Uno dei motivi striscianti che distrugge il tessuto sociale africano, oltre alla fame e alle guerre, è quel dramma conosciuto come HIV o AIDS. Ma non è che uno dei vari di cui l'Africa soffre più di qualunque altra parte del mondo. La pandemia di HIV è davvero la dimostrazione di come possa 'piovere sul bagnato'. Fino circa 25 anni fa non era praticamente conosciuta. Forse è avvenuto un contagio con il 'salto di specie' tra scimmie (come gli scimpanzé) uccise e mangiate dagli uomini. La grande promiscuità degli africani a sud del Sahara (non casualmente nelle nazioni musulmane il contagio è rimasto limitato) ha reso in pochissimi anni questo contagio una vera pandemia, che si è diffusa anche nel resto del mondo. Ora che le cure consentono di ridurre il problema, o almeno di aumentare la speranza di vita, l'Africa non ha accesso per ragioni meramente economiche a questi medicinali, visto che le case farmaceutiche si rifiutano di praticare prezzi politici o semplicemente di far produrre a basso prezzo i medicinali in nazioni come il Sud Africa e l'India.

Intanto si continua a morire: entro il 2050 l'UNICEF prevede qualcosa come 50 milioni di orfani per colpa dell'HIV, ma già adesso se ne contano milioni, che sono rimasti con entrambi i genitori morti per colpa di questa malattia. La prevenzione, se soltanto fosse praticata, sarebbe importante. In una regione della Tanzania, il contagio delle ragazze tra i 15 e i 24 anni è del 14,6%, ma questa paradossalmente è una 'buona notizia' perché prima era del 20,5%. L'HIV è un fattore di rischio per altre malattie, essendo una sindrome da immunodeficienza acquisita. Ergo, le persone vengono uccise da altre malattie e di queste la TBC è la più 'assidua' compare del virus. 21 milioni di persone nel mondo hanno entrambe le malattie: il 70% vive nell'Africa sub-sahariana. L'Africa sub-sahariana ha non più dell'11% degli abitanti del pianeta, ma ha il 70% dei malati di HIV, e il 27% degli otto milioni di contagi annui avviene in questa zona, ancora molto maggiore della media mondiale. La malaria è un'altra piaga: l'80% dei malati e il 90% dei portatori sani sono sempre qui, a sud del Sahara. Per moltissimi di questi casi si potrebbe fare molto, date le cure disponibili. Ma né per questi né per altri flagelli come la dissenteria i prezzi e l'interesse dei Paesi 'ricchi' è stato pari alle necessità, anzi se 20 anni fa la mortalità data dall'HIV non era molto diversa nelle parti del mondo interessate, ricche o povere che fossero, adesso la situazione è molto diversa, e tutto a danno relativo dell'Africa. In nazioni come il Mozambico, dove i poveri sono oltre il 70%, tutto questo diventa difficilmente sopportabile.

  • Donne: sono la vera risorsa dell'Africa che verrà, se vi sarà ancora speranza. Il microcredito, per esempio, per comprare utensili, sementi, una mucca, è soprattutto rivolto a loro. Le famiglie allargate per gli orfani, dopo gli eccidi come quelli in Rwanda, la strage quotidiana e silenziosa dell'AIDS, sono opera di donne; il falò della pace, che nel Mali in rivolta con i Tuareg significò bruciare le armi dei combattenti. Nel Rwanda le parlamentari sono il 49% nell'Assemblea Nazionale, precedendo tutte le altre nazioni del mondo, tra cui la Svezia, che giunge seconda.

Africa ed energie rinnovabili[modifica]

L'Africa è il continente più povero e indifeso della Terra (eccetto i Poli), attorno a cui ruota solo il 2% dei movimenti commerciali. Terra di guerre e conflitti tribali, da questi ha avuto, a far tempo dal 1990, 300 miliardi di dollari di danni, parificando tutti gli aiuti da parte dei 'Paesi ricchi'.

Ma com'è la situazione delle energie rinnovabili nel Terzo Mondo? Per quanto se ne parli poco, si tratta di una situazione in continua evoluzione, e che permette una certa efficienza, sopratutto quando altre possibilità sono fuori luogo per vari motivi (principalmente la modesta rete di infrastrutture). Facciamo qualche esempio:

  • Isole Mauritius: il 25% della produzione di elettricità viene fuori dalla combustione degli scarti della canna da zucchero, elemento fondamentale dell'economia del Paese.
  • Kenya: il 10% dell'elettricità è ottenuto da fonti geotermiche, specie nella Rift Valley.
  • Sudafrica e Namibia: vi sono oltre 330.000 pale eoliche per irrigare i campi, soluzione semplice e tradizionale, ma in ogni caso capace di fornire quell'energia altrimenti indisponibile in molte zone rurali, a grandi distanze da ogni linea elettrica. Il Sud Africa svilupperà con la cogenerazione oltre il 10% della sua energia elettrica, ovvero circa 6.000 MW.

A Dakar hanno fatto il punto con una conferenza organizzata dall'ONU, nella sua forma di Agenzia per lo sviluppo industriale o UNIDO. C'erano anche rappresentanti del governo tedesco. Il punto è che ancora oggi oltre 600 milioni di persone, è stato detto, non hanno accesso in Africa all'elettricità, e in 35 casi su 53 Stati questo non avviene in maniera affidabile. Quindi il 'digital divide' non fa altro che aumentare, dato che i computer e le linee telefoniche sono l'elemento che permette al mondo di essere in rete, cosa tuttavia ardua senza infrastrutture di base affidabili. Per questo l'autonomia di produzione dell'energia elettrica è una delle questioni più importanti, e riguarda potenzialmente non meno del 70% della popolazione africana. Contro gli investimenti, insufficienti, di meno di un miliardo di dollari in energie rinnovabili attuali, la previsione sarebbe di arrivare ad almeno 10 miliardi nel 2009-14. A maggior ragione se si considera che il petrolio non ha fatto altro che aumentare le sue quotazioni da qualche anno a questa parte: è di stasera 5 maggio la notizia che anche la barriera dei 120 dollari è stata superata sulla piazza di New York, con un aumento di circa 10 dollari in 3 giorni.

Agrocarburanti e marginalità[modifica]

La competizione tra coltivazioni per ottenere carburante è già sotto l'attenzione di critiche sempre più precise e determinate. Il rapporto Fao pubblicato i giorni scorsi «Gender and Equity Issues in Liquid Biofuel Production» indica che laddove le terre sono coltivate in situazioni di marginalità, ma pur sempre capaci di fornire sostentamento agli abitanti, l'avvento delle monoculture di questo tipo finisce per causare un esaurimento del terreno e uno sfruttamento massiccio delle risorse disponibili come acqua, fertilizzanti etc. causando un danno estremamente grave ad un tessuto sociale già fragile, ma che sopravvive sopratutto grazie alle piccole coltivazioni che le donne riescono a tirare avanti, sfuggendo alle leggi del mercato per le quotazioni degli alimenti, ma colpibili dall'espansione delle grandi monoculture che oltretutto non sono più intese a produrre alcunché di commestibile.

Articoli correlati[modifica]

Fonti[modifica]