Wikinotizie intervista Franco Salvatori, presidente della Società Geografica Italiana
giovedì 24 maggio 2007 Il prof. Franco Salvatori, presidente della Società Geografica Italiana, ha ricevuto per un cordiale incontro alcuni inviati di Wikimedia Italia a Roma, il 18 maggio 2007, presso la sede sociale al palazzetto Mattei in Villa Celimontana, pochi giorni dopo le celebrazioni per il 140° anniversario dalla fondazione.
Dall’ a.a. 1994-95 è il preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi “Tor Vergata” di Roma, nella quale è docente di Geografia Politica ed Economica.
Il Prof. Salvatori sul sito dell'Università Roma 2
In occasione dell'incontro ha acconsentito a rispondere ad alcune delle domande che erano state collaborativamente preparate da alcuni nostri utenti. I punti di interesse erano diversi: la Società Geografica, classificata dall'Eurispes fra le 100 eccellenze italiane nel 2006[1], era certamente una grande fonte di interesse, ma è stato naturale senza quasi accorgersene guardare, attraverso di essa, alla geografia per come oggi questa scienza si presenta dopo un secolo di importanti innovazioni e cambiamenti. L'intervista non era concordata, ma ci è stata con grande cortesia concessa ugualmente.
Wikinews: Della Società Geografica Italiana non è molto noto come sia organizzata, come sia distribuita, per esempio, in ambito locale. È radicata nel territorio? Organizza delle attività a livello locale? O il suo è un ruolo di coordinamento?
- Franco Salvatori: In realtà la Società Geografica è un'istituzione che nasce nazionale e ha conservato fino ad oggi quasi integra la prospettiva nazionale, anzi... nel senso che ha una sede a Roma e tutta la sua attività, per la gran parte, la svolge a Roma. Anche se i soci, cioè l'anima, il corpo della Società Geografica è diffuso in tutt'Italia, dove più, dove meno... A Roma, nel Lazio di più; nel resto d'Italia, assai di più nel Settentrione. Un po' di meno nel Mezzogiorno.
- Questo è un problema di tutta l'attività culturale in Italia.
WN: Quanti sono i soci attivi, al momento?
- FS: I soci attivi sono circa mille e cinquecento. I soci vengono raggiunti dalle nostre pubblicazioni, vengono raggiunti dai nostri inviti... Certo, qui funziona proprio una regola geografica: la partecipazione all'attività della Società è inversamente proporzionale alla distanza. Quindi, come dire, c'è questo problema che abbiamo tentato di superare in parte attraverso le tecnologie della telematica, e in parte attraverso una qualche forma di decentramento.
- Abbiamo una figura a Statuto che si chiama Fiduciario Regionale, cioè una persona che è il riferimento - anche sub-regionale, per un numero di province - che tiene i collegamenti con i soci locali, che in qualche caso promuove attività (dipende molto dalla persona). Attività che può essere o autonoma, nel senso che è pensata, concepita e realizzata localmente, sia decentrata, nel senso che sono attività a nos[2], tipo mostre, che poi vengono portate localmente. Però è un punto debole, effettivamente, c'è una gran voglia da parte dei nostri soci non romani e non immediatamente coinvolgibili ad essere maggiormente coinvolti.
WN: La storia di centoquarant'anni vi ha fatto registrare delle difficoltà, dei periodi di crisi nei momenti di cambiamento, per esempio, delle tecnologie?
- FS: No, la crisi - le crisi della Società geografica sono tutte crisi "politiche", non legate alle tecnologie. Nel senso che la Società è nata con una sua mission che ha rivisto strada facendo e ogni qualvolta c'è stato un venir meno della missione iniziale c'è stato un momento di crisi.
- Fondamentalmente, la decolonizzazione, il venir meno del rapporto europeistico-eurocentrico rispetto al resto del mondo, ha creato situazioni di venir meno degli obiettivi della Geografica - ma non soltanto italiana, di tutte le Società geografiche. Alcune, come dire, hanno trovato una nuova modalità d'essere facendo molta divulgazione attraverso la documentaristica - il National Geographic per esempio principale. Altre si sono trincerate in una sorta di circolo molto elitario - posso anche esemplificare con la Società Geografica Portoghese. Altre hanno tenuto alta la bandiera delle glorie nazionali, tipo la Royal Geographical Society londinese. E così via, le soluzioni sono state molto diverse. In alcuni casi, per esempio in Olanda, la KNAG[3] è una società di professionisti: i geografi olandesi fanno i pianificatori del territorio e quindi è un'associazione che assomiglia molto a quella che in Italia è l'INU, cioè l'Istituto Nazionale di Urbanistica. Ci sono situazioni molto diverse da Paese a Paese.
- L'Italia - la Società Geografica Italiana - ha vissuto il suo momento di massimo declino tra gli anni '50 - '60 cioè quando c'è stata la netta decolonizzazione europea e quindi sembrava che non avessimo altro da fare. E invece la geografia è stata riscoperta: il mondo cambia, bisogna comprenderlo, poi abbiamo un patrimonio straordinario da valorizzare e soprattutto bisogna conoscere l'Italia, il nostro territorio...
WN: Come ha fatto la Società a invertire la rotta?
- Ci siamo trasformati, abbiamo riscoperto una nostra anima ambientalista: in fondo siamo stati gli inventori del rapporto uomo-ambiente - noi geografi - e quindi di un rapporto di tipo consapevole, senza troppi "ismi". Nel senso che - legittime le letture di tipo ambientalista però anche legittimo lo sviluppo umano - allora bisogna trovare delle compenetrazioni che per esempio noi riconosciamo nel concetto di sviluppo sostenibile.
- Che abbiamo fatto nostro e che si fonda su alcuni concetti che sono propri della geografia.
WN: Lei ha affrontato il tema di una domanda che le avremmo fatto dopo: con attenzione ad esempio ai grandi cambiamenti climatici, in che modo lo studio della geografia può aiutare nella gestione del territorio?
- FS: Aiuta nella misura in cui la geografia riesce intanto ad avere dimestichezza con i problemi di scala.
- L'uomo si trova ad affrontare ed essere attore a diversi livelli di scala: dalla locale, cioè quella dove sviluppa la propria esistenza, fino alla globale. Fino a una, due generazioni fa, queste scale parevano non incrociarsi. In realtà si incrociavano anche allora, ma pareva che non s'incrociassero, pareva che mio padre, che viene dal mondo contadino, avesse come orizzonte quello della sua contrada e tutta la sua esistenza e tutto il suo lavorare e tutto il suo produrre, anche demograficamente, si limitava a quella contrada. In realtà aveva dei riflessi globali.
- Ora, certamente, un nostro contadino, se ancora ne esistono, un nostro agricoltore, per essere più preciso, un nostro imprenditore agricolo sa che deve confrontarsi con il mercato globale delle derrate agricole, sa che deve confrontarsi con i problemi ambientali che sono locali ma sono globali e la geografia è l'unica - che io sappia - disciplina che ha questa possibilità, l'unico atteggiamento culturale che ha questa possibilità di muoversi lungo le scale geografiche, appunto.
- L'altro atout della geografia rispetto a queste questioni è che noi siamo dell'idea che la Terra è mondo. E cioè che la Terra, che il pianeta, ha un senso in quanto ci siamo noi. Se non ci fossimo noi uomini, non avrebbe alcun senso, la Terra. Probabilmente lo avrà, certamente lo avrà, ma per noi ha senso in quanto ci siamo noi, cioè in quanto c'è l'umanizzazione. Allora, Uomo e Ambiente è il binomio, la diade sulla quale si è costruita la geografia, che poi ha avuto anche sviluppi diversi, altri, però su questo ci siamo dati un'identità scientifica. E allora sappiamo perfettamente che se c'è da avere rispetto per tutte le altre specie viventi lo sappiamo non per una ragione etica (che ha la sua cittadinanza), non per altre ragioni, ma per la nostra stessa sopravvivenza.
- Noi dobbiamo aver rispetto per l'ambiente se vogliamo svilupparci umanamente; lo sviluppo umano senza il rispetto dell'ambiente non può essere.
- Così è stato sempre, solo che adesso è addirittura vitale perché abbiamo raggiunto le dimensioni del mondo - l'azione umana non lascia sgombro nessun angoletto del mondo - e quindi ogni volta che sgarriamo, come dire, abbiamo dei riflessi così immediati su noi stessi, e quindi dobbiamo saperci regolare.
WN: Anche sul clima?
- Il clima... Noi sappiamo che il mondo ha sempre vissuto oscillazioni climatiche anche consistenti, le ultime datano solo cento anni fa, noi siamo usciti cento anni fa dalla Piccola Era Glaciale e siamo andati a un riscaldamento complessivo del mondo. Solo che adesso, ormai ne siamo quasi certi, siamo in grado di dare un nostro contributo di non poco peso a questo riscaldamento. E siccome le cose nel clima in genere, ma soprattutto in quello che ha a che vedere con la natura, con la vita, non procedono gradualmente, cioè a ogni centesimo di grado di aumento di temperatura non corrisponde linearmente una qualche cosa, perché se fosse così noi saremmo in grado di controllarlo, di dire "va bene, un po' più di riscaldamento, un po' più di qualche altra cosa".
- In realtà c'è uno scatto di cui non sappiamo l'esito - a un grado in più di temperatura che cosa corrisponde? Non lo sappiamo. E prudenza vuole che siccome non lo sappiamo, probabilmente non vale la pena di imbarcarsi, o perlomeno non vale la pena di determinare questo grado in più. Magari da questo grado in più esce fuori il Paradiso (però "magari...") o magari l'Inferno, quindi il principio di precauzione ci deve far dire: "stiamo attenti, perché se stiamo dando un contributo nostro..."
- E poi, finché eravamo qualche centinaia di migliaia di individui sulla superficie terrestre, o qualche milione, o qualche decina di milioni, alle oscillazioni climatiche sapevamo rispondere: salivamo un po' più di quota, scendevamo un po' po' di quota negli insediamenti, andavamo un po' più a latitudine Nord, un po' più a latitudine Sud, emigravamo, ... Adesso siamo talmente tanti che un'oscillazione climatica provoca un rimbalzo sugli uomini così imponente che c'è da immaginare la catastrofe.
- Se si muovevano alcune migliaia di Scandinavi, che abbiamo chiamato i Normanni, che sono arrivati nel nostro Sud e che hanno cambiato il nostro Sud nell'epoca storica, in conseguenza - anche in conseguenza di variazioni climatiche, va bene, lo abbiamo registrato, è stato anche utile, abbiamo conosciuto Federico II, l'età Federiciana, positive, è una conseguenza climatica positiva...
WN: Cioè, lo spazio era libero e utilizzabile...
- FS: Sì, era libero e utilizzabile. Adesso lo spazio non è così utilizzabile. Adesso se si muovono, si muovono milioni, decine, centinaia di milioni di individui e che cosa succede? Oltretutto abbiamo ancora delle deterrenze che stanno ancora lì, non è che le abbiamo completamente smantellate - parlo delle deterrenze belliche. Di fronte al panico, nessuno sa come si reagisce. E avendo a disposizione dei mezzi li si può anche utilizzare, quindi ci sono veramente prospettive catastrofiche innanzi.
WN: Ci siamo avvicinati alla storia. In una intervista che abbiamo letto di recente, lei ha sottolineato la necessità di un riavvicinamento tra la figura del geografo e quella dello storico, facendo anche dei riferimenti ad altre realtà. In cosa in concreto un approccio di questo tipo può giovare, sia alle singole discipline che comunque alla conoscenza?
- FS: Io qui esprimo un'opinione del tutto personale, nel senso che la disciplina geografica che s'è sempre un po' posta in una zona grigia, in una sorta di terra di nessuno tra le scienze dell'uomo e le scienze della natura, poi però ha dovuto con questa posizione che ha dato esiti anche importanti di tipo positivo, ha dovuto far le spese di una mancata riconoscibilità dall'una parte e dall'altra.
- Io direi che andrebbe decisamente sposata la parte storica, cioè la parte scienze dell'uomo, e il metodo utilizzato essere essenzialmente quello storico, perché dall'altra parte la specializzazione è andata così avanti (parlo della geografia fisica, parlo della geomorfologia) che non utilizzare le metodologie che gli sono proprie finisce per rendere improbabile ulteriori avanzamenti.
- Di fatto la geografia che ora si insegna è la geografia umana. Non utilizziamo l'aggettivo, ma insomma l'aggettivo c'è di fatto. Nelle sue specificazioni: politica, economica, sociale, culturale... ma il cappello è "geografia umana". La storia è la naturale interlocutrice, il metodo storico e la storia fatta col metodo storico è il naturale interlocutore di una geografia umana - piuttosto che altre discipline che ne danno sostanza: l'economia, la geografia economica, la politologia, la geografia, ecco ma il pendant della geografia umana è la storia. Che è un pendant anche abbastanza scontato: la storia studia il tempo, noi studiamo lo spazio. E qualcuno ci ha insegnato che tempo e spazio poi sono la stessa cosa (questo qualcuno è Einstein). E quindi alla fine siamo due facce di uno stesso sapere, quindi per questo ritengo alla fine che insomma, essendo un'unica moneta, l'abbraccio debba essere con gli storici.
WN: E subito dopo ci sono altre discipline di simile vicinanza, o comunque di contiguità?
- FS: Sì, tutte le scienze dell'uomo e tutte le scienze sociali. Un geografo ha la benedizione di doversi saper muovere - e si sa muovere, quando è capace - un po' a ventaglio, a 360°. Che è poi anche la [sua] maledizione perché poi dicono che siamo degli enciclopedisti, che vogliamo saper tutto, che chi sa tutto poi non sa niente, no? Però il mondo attuale vive anche di grosse preoccupazioni per le specializzazioni spinte.
- Settori che non dialogano tra di loro, che hanno perso completamente di vista la possibilità di un termine - [il prof. Tabusi[4]] stamattina usava il termine "olistico" - di un sapere complessivo, integrato che in qualche maniera lo storico e il geografo ancora conservano. Dopo di che, la statistica per il geografo è importante, ma l'economia è importante, ma la politologia è importante, ma la sociologia è importante.
- Poi dipende anche dalla sensibilità dei singoli. Io guardo a Braudel come un geografo, Braudel guardava ai geografi come a degli storici. Ecco, la figura di riferimento è questa.
WN: Lei ha parlato di enciclopedismo. Noi siamo un'associazione che si occupa anche, incidentalmente, di questo. Cosa si attende la geografia dalle enciclopedie? E come le enciclopedie trattano i dati che vengono da questa disciplina?
- FS: Potrei rispondere con una battuta, nel senso che la geografia si attende dalle enciclopedie la professione, perché fino adesso la professione di geografo, almeno in Italia, era solo quella di lavorare all'Istituto della Enciclopedia Italiana dove sapevamo compilare le varie voci geografiche, i toponimi, e quant'altro. No, non è esattamente questo...
- Direi che quando io ho usato il termine "enciclopedismo" l'ho detto nell'accezione negativa di questo termine, ma c'è anche una dimensione positiva: l'enciclopedismo coincide con l'Illuminismo; il grande progresso scientifico razionalista ha coinciso con quella grossa immagine che era la costruzione dell'Enciclopedia, cioè di un sapere universale fondato sul Lume, cioè sulla razionalità, sull'intelligenza.
- Le enciclopedie adesso subiscono l'obsolescenza del passaggio da un'editoria tradizionale a una forma nuova - che non so quale sia perché in questo settore sono poco attrezzato, ho poco riflettuto, ma certo c'è un orizzonte molto nuovo di fronte a noi, e guarda caso ha riguardato proprio il fondamento dell'enciclopedia, e voi siete la realtà importante di oggi da questo punto di vista. Quindi è una dimensione che non si perde, è una dimensione che si recupera. Ovvero l'Enciclopedia non è morta: non è morto lo spirito dell'Enciclopedia, non è morto lo spirito dell'Illuminismo; anche se l'Illuminismo ha fatto qualche danno, non è che sia stato tutto positivo.
WN: Nel passaggio delle epoche, volevo chiedere se i principi delle geografia sono sempre gli stessi o hanno risentito di un XX secolo abbastanza innovativo. In secondo punto, oggi che abbiamo una tecnica che ci consente da satellite, di sapere tutto, di avere pochissimo di non conosciuto senza andare sul posto, qual è la ragione delle missioni sul campo?
- FS: Dunque, io contesto l'affermazione "sapere tutto"; noi non sappiamo niente. Sapere che lei è seduto lì, è sicuramente un'informazione di tipo geografico.
WN: Vediamo ma non necessariamente sappiamo?
- FS: Certo, la formula forse è più efficace di quello che stavo dicendo io, cioè noi adesso, attraverso la strumentazione sappiamo esattamente che lei occupa quel punto dello spazio così come qualunque altro oggetto sappiamo dove sta. Ce lo dicono i satelliti, ce lo dice la tecnologia (anche se qualche volta mi chiedo se è vero che sappiamo tutto... sappiamo davvero tutto dove sta? Non sappiamo dove sta Bin Laden, perché? Lo dovremmo sapere, no? Se sappiamo qualunque oggetto, qualunque cosa...)
- Non sappiamo dove stanno le idee, intanto. C'è una dimensione immateriale che sfugge alle tecnologie attuali, ma soprattutto non sappiamo *perché* lei sta lì. Cioè, la geografia ha un ruolo che non è più soltanto di sapere (molti di noi usano queste formule) il *dove*, che pure è importante - sapere dove lei è in questo momento è importante per la nostra conoscenza, perché io guardo verso di lei e non guardo verso un'altra parte. Sapere che il microfono è qui, che lui è lì, ecc.
- Ma sapere *perché* lei si è seduto lì... e qui c'è di tutto: perché è un ospite, perché magari lì sta più comodo o semplicemente perché è un prepotente, e quindi: le relazioni tra i popoli, le relazioni internazionali, i conflitti, la geopolitica, la geostrategia, i rapporti economici e quindi la geoeconomia, ecc. ecc. Allora, su questi perché io credo che avremo da lavorare per tanti secoli, e da aggiornarci di volta in volta in base alle teorie, in base al progresso delle conoscenze, e così via.
- E la Società geografica, per tornare un po' al punto, ha ancora questo compito. Lo può declinare in tente maniere, lo può declinare soltanto in chiave culturale, in chiave mediatica (e sono dimensioni che io non vorrei trascurare, anzi che stiamo accentuando), ma c'è una chiave scientifica propria che in qualche maniera va tenuta ben salda, così come c'è anche una chiave ideale. Nel senso che se quattro, cinque generazioni fa chi ha fondato la Società Geografica, in tutta coscienza, in assoluta buona fede, immaginava che la missione fosse quella di portare la civiltà europea in Africa, in America Latina, ecc. ecc. adesso la tensione ideale che credo ci animi - io sono convinto che c'è un comune sentire in questa direzione - è quello di dare un contributo in termini di salvaguardia della diversità.
- Il mondo, io dico sempre, è bello perché è vario - uso un'espressione che si usa in ogni casa. E se lo conserviamo vario, lo conserveremo bello.
- Conservarlo vario significa conservarlo vario sotto il profilo della biodiversità, sotto il profilo delle diversità culturali, sotto il profilo della coesistenza dei diversi, in qualsiasi modo: di colore di pelle, di modo di pensare, di riflettere. Il mondo è tale se è un mosaico, come ce lo siamo sempre raffigurato cartograficamente.
- Adesso stiamo vivendo una fase in cui tutto sembrerebbe volersi appiattire, rendersi incolore, grigio.
WN: Geografia e giovani, e Società Geografica e giovani: quali sono le prospettive di utilizzo e di servizio ai giovani, nel senso di trasmissione dell'informazione geografica e di comunicazione ai giovani, e comunque di utilizzo dei giovani per lo sviluppo della geografia?
- FS: Io credo che la geografia non faccia differenza con nessun'altra prospettiva culturale o prospettiva scientifica o prospettiva di pensiero. I giovani sono indispensabili, senza i giovani non c'è futuro. Non è una forma retorica, è così.
- Che cosa può fare la geografia per i giovani? Credo quello che ho detto poc'anzi. Tra le varie tensioni culturali, morali, ideali, veicolare quella di avere a disposizione un mondo che non sia un mondo che va verso l'entropia, cioè l'appiattimento "tutto uguale", l'uniformità generale ma che invece, così come del resto è la vita, cioè il contrario dell'entropia - credo che tecnicamente si dica la neg-entropia - che ci sia vitalità, che ci sia vitalismo, che ci sia voglia di costruire.
- Conoscere il mondo per costruirlo secondo i propri ideali, secondo i propri desideri, secondo le proprie aspettative, secondo le proprie speranze. Che poi è quello di sempre: in fondo, ogni generazione ha avuto voglia di farsi un mondo diverso da quello che ha trovato; ma per farlo diverso bisogna pure conoscerlo, bisogna comprenderlo.
WN: Sul campo state ri-andando a Lét Marefià[5]. La Società che cosa si attende da questa nuova missione?
- FS: Si attende un riscatto pieno e totale di un'immagine che era stata un po' appannata da un impegno che era scientifico, che era culturale, ma che era stato anche piegato agli interessi diciamo imperialisti, politici.
- Riandare a Lét Marefià è il segno che si è chiusa una fase storica e se ne apre una nuova che è quella della cooperazione piena con quei Paesi.
- Abbiamo sempre detto che andremo a fare quello che vogliamo fare, e cioè ristrutturare una scuola, creare un centro per lo studio della biodiversità, in piena assonanza non solo con le autorità locali, le autorità etiopiche, ma anche con le comunità locali, perché questo non sia vissuto come un neo-neo-colonialismo, una neo-neo-forma di assistenza paternalistica, di concessione.
- Questo vogliamo andare a fare; se ci riusciamo, credo che sarà un bel risultato.
Con questo augurio, essendosi prolungato l'incontro ben oltre il previsto, abbiamo preso congedo, ringraziando il Prof. Salvatori ed i suoi collaboratori dell'amabile ed interessantissima ospitalità.
Note
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- ↑ V.rapporto (file .pdf) - Sezione Istituzioni, Enti e Associazioni
- ↑ Latino per "da noi", attività della SGI
- ↑ Reale Società Geografica Olandese
- ↑ Il Prof. Massimiliano Tabusi, docente di Geografia Economico-Politica presso l'Università per Stranieri di Siena, è il Segretario della Società Geografica.
- ↑ Lét Marefià è una località dell'Etiopia nota per essere stata dal 1877 una stazione scientifica realizzata dall'esploratore Orazio Antinori, uno dei collaboratori più importanti della Società (Antinori, peraltro, scelse di morirvi). La SGI sta attualmente varando un progetto per la ristrutturazione della Primary School del villaggio di Déns (nei pressi di Lét Marefià) e per la costruzione del Centro Studi e Ricerche Orazio Antinori, una struttura di supporto per studi sulla biodiversità etiopica.
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