Intervista a Giovanni De Mauro: la lettura innovativa di Internazionale

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intervista a cura di Sannita

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9 maggio 2009


Wiki@Home intervista Giovanni De Mauro, fondatore e direttore di Internazionale, settimanale di informazione. Nato giornalisticamente ne L'Unità, dove comincia a lavorare come grafico nel 1983 a soli diciott'anni, passa in seguito alla cronaca di Roma e infine agli esteri. Nel 1993 fonda Internazionale.


L'intervista[modifica]

La rivista[modifica]

W@H: Come è nata Internazionale?

De Mauro: È nata nel 1993. Io ed altri tre amici, con i quali abbiamo fondato il giornale, ci siamo ispirati ad un giornale francese che si chiama Courrier International, che usciva già da qualche anno ed esce tuttora. Il Courrier è stato un po' il modello a cui ci siamo ispirati, nonostante il suo taglio e la sua impaginazione siano diverse dalle nostre.

W@H: Nel mondo esistono altre riviste che raccolgono il meglio della stampa estera. Esiste una collaborazione tra voi e queste riviste? Esiste un network?

De Mauro: Esiste soltanto una collaborazione informale, di scambio di informazioni, di "buon vicinato", ma non esiste una rete ufficiale.

W@H: In Italia non sembra esserci un grande interesse per la politica estera. Come è riuscita Internazionale ad emergere in questo panorama editoriale?

De Mauro: In realtà, non sono convinto che non ci sia un grande interesse per la politica estera o comunque per gli esteri – tanto che, in qualche modo, il successo di Internazionale dimostra il contrario. Credo che ci sia piuttosto una scarsa attenzione da parte di alcuni mezzi di informazione riguardo gli esteri.

W@H: Soprattutto televisivi o anche cartacei?

De Mauro: Direi soprattutto televisivi. Mi sembra che la carta stampata sia messa un po' meglio, da questo punto di vista.

W@H: Qual è il vostro pubblico tipo? Vi rivolgete soprattutto ai giovani – dal momento che all'ultimo Festival di Internazionale a Ferrara hanno partecipato tantissimi giovani – oppure il vostro target è più variegato?

De Mauro: Sicuramente i nostri lettori sono particolarmente giovani, soprattutto rispetto agli standard degli altri giornali. Diciamo che sono lettori, da questo punto di vista, abbastanza "straordinari".

W@H: Ritiene che sia l'argomento "politica estera" che li interessi particolarmente?

De Mauro: Non credo, perché poi in realtà Internazionale pubblica articoli usciti sulla stampa straniera, però non si occupa esclusivamente di politica estera. Chi la compra, magari, la compra anche per l'oroscopo, per le vignette, per gli articoli di cultura, le recensioni...

W@H: O per vedere come la stampa estera parla di noi.

De Mauro: O per vedere come la stampa estera parla di noi, certo. Credo che chi compra Internazionale, lo compra perché gli piace questo giornale e perché forse gli riconosce una certa diversità rispetto ad altri mezzi di informazione.


L'Italia e l'estero[modifica]

W@H: A proposito, la vostra rivista dedica ampio spazio a come gli stranieri ci guardano "da fuori". Ma le notizie dall'Italia interessano davvero l'opinione pubblica degli altri Paesi oppure è soltanto uno sguardo superficiale su uno dei tanti Paesi esteri?

De Mauro: L'Italia interessa abbastanza, direi, per tutta una serie di ragioni. Intanto, ci sono molti italiani nel mondo, il che significa che ci sono italiani o persone di origine italiana che lavorano nei giornali stranieri e che hanno una sensibilità diversa rispetto al nostro Paese.
Poi, l'Italia certamente è un Paese molto amato, affascinante, ricco di storia e di cultura, dove molti stranieri sono venuti o vogliono venire in vacanza. Non è un Paese che lascia indifferenti gli stranieri. E parliamo soprattutto del resto dell'Europa occidentale, del Nord America, di questi Paesi insomma.

W@H: Dal suo punto di vista, questi giornali come ci vedono? Colgono la complessità italiana, magari anche aspetti che noi non riusciamo a cogliere, oppure si cade nei soliti cliché?

De Mauro: Guardi, è difficile generalizzare. Eviterei di cadere, appunto, nel cliché del giornalista straniero che ci azzecca sempre o non ci azzecca mai. Ci sono bravi giornalisti stranieri e pessimi giornalisti stranieri, ci sono giornalisti stranieri corretti, che ogni tanto scrivono articoli belli e ogni tanto scrivono articoli un po' banali... Come dire, sono rappresentativi della varietà del mondo dell'informazione, degli stili e della capacità di approfondimento. Su questo argomento, non me la sentirei francamente di generalizzare.
Una cosa possiamo però dire senza ombra di dubbio: l'attenzione a come gli stranieri guardano il proprio Paese è una caratteristica esclusivamente italiana. In nessun altro Paese del mondo un articolo uscito su un giornale straniero provoca quello che regolarmente provocano da noi gli articoli usciti sulla stampa straniera sull'Italia.

W@H: Quasi come se avessimo paura di fare brutta figura all'estero.

De Mauro: No, come se fossimo molto insicuri oppure molto sicuri ma molto interessati a quello che altri dicono di noi. C'è in questo una responsabilità dei mezzi di comunicazione italiani – ed in qualche modo anche di Internazionale, per carità – nell'amplificare certe reazioni. Però in Francia, in Spagna, in Germania, nel Regno Unito, ma anche in India, in Giappone, eccetera, non esiste che quello che scrive un giornale straniero provochi quello che da noi regolarmente succede. Le critiche, le osservazioni, gli articoli di costume non è che colpiscano più di tanto.

W@H: Torniamo un attimo sull'apparente scarso interesse sugli esteri. È più una conformazione dei giornalisti oppure è il "mercato dell'informazione", chiamiamolo così, che chiede poca informazione dall'estero e molto più commento politico e molta più cronaca interna?

De Mauro: Credo che ci sia proprio una forma di miopia da parte degli organi di informazione che scelgono di occuparsi poco di esteri. La sua ipotesi avrebbe senso se ci fosse la controprova, se i giornali vendessero tantissimo. Però non è così: i giornali si occupano prevalentemente di politica italiana, in modo molto autoreferenziale, codificato, cifrato, con un linguaggio da addetti ai lavori, ma vendono sempre meno.
Non ci vuole un gran genio né del giornalismo, né del marketing per capire che qualcosa non va, che le due cose non vanno bene insieme. Mi riferisco soprattutto a chi fa i giornali, l'allusione ironica è a loro. Io credo che i giornali italiani, in particolare i quotidiani, non soddisfano il bisogno di informazione dei lettori.

W@H: Si parla anche molto poco di Asia, Africa, America latina. Tutti ambiti che invece andrebbero tenuti d'occhio, perché la Cina, al contrario, sta portando avanti una forte azione diplomatica ed economica in questi Paesi. E poi abbiamo tantissimi italiani e discendenti di italiani in America meridionale, ad esempio...

De Mauro: Da questo punto di vista, in Italia tutti i mezzi di informazione (carta stampata, televisione, eccetera) sono fermi al Muro di Berlino. Noi sappiamo tutto degli Stati Uniti, sappiamo un po' delle cose politiche, del gossip politico da alcuni Paesi europei e neanche tutti – Spagna, Francia, Regno Unito, Germania e direi basta per l'Europa continentale. L'Europa dell'est non ne parliamo, magari un po' di Russia, poi fine. E un po' di Cina, molto stereotipata: "la tigre cinese", "l'assalto cinese". Tutto poco approfondito, insomma. E poi, tutto il resto non esiste.

W@H: Al contrario di quello che fa, ad esempio, la BBC, che dedica parecchi speciali a India, Pakistan, Cina...

De Mauro: Beh, ogni Paese, specialmente in Europa, ha delle ragioni storiche che motivano queste attenzioni. L'attenzione della BBC ai Paesi del Commonwealth è data da ragioni storiche scontate... Però lei giustamente citava la quantità enorme di italiani in America latina, alcuni andati lì anche recentemente, eppure questo non ci spinge a considerarla. Oppure ancora le nostre ex-colonie, che non ci interessano minimamente.
Però è vero che nel resto del mondo c'è un interesse piuttosto regolare e diffuso rispetto a quello che succede altrove. Basti pensare alla distribuzione dei corrispondenti dei giornali italiani: in Italia, i grandi giornali non hanno nemmeno un ufficio di corrispondenza in America latina e, se ci sono, sono composti da collaboratori "volanti"... Non parliamo poi dell'Africa, del Nordafrica, dell'Estremo Oriente. la Repubblica e Il Sole 24 Ore hanno un solo corrispondente in Cina o in India...

W@H: Ci sono anche motivi economici o di difficoltà tecniche, secondo lei, dietro questa scarsità di corrispondenti?

De Mauro: No. Credo che sia soltanto una questione di miopia e di pigrizia intellettuale.


Crisi ed evoluzione del giornalismo[modifica]

W@H: Recentemente avete dedicato numerosi articoli alla crisi del giornalismo cartaceo, anche se il dibattito sta andando avanti da anni. Bill Gates ha dichiarato tempo fa che di qui ad un decennio la forma cartacea sparirà ed i giornali saranno pubblicati solo in forma web. Come ritiene che possa evolvere la formula giornalistica nei prossimi anni? La formula del New York Times di aprire gli archivi fino ad una certa data resisterà nel tempo? Oppure ancora dà ragione ad Arianna Huffington quando dice che la forma cartacea resterà viva finché non si esaurirà l'attuale generazione di lettori?

De Mauro: È difficile dire che cosa succederà. C'è stata un'intervista, un paio di anni fa, all'editore e proprietario del New York Times – che è stata in parte anche riportata male sugli altri mezzi di informazione – in cui lui dice "Io non so che forma avrà il New York Times fra cinque anni e non mi importa".
Poi è stata interpretata male questa sua affermazione, alcuni hanno scritto che non sarà cartaceo, ma lui ha detto che non sa e non gli importa che forma prenderanno i giornali. Il punto è che sopravviva il giornalismo e su questo credo che non ci siano dubbi. In una forma o nell'altra, il giornalismo non è in crisi. Ad essere in crisi è la forma, in particolare la carta stampata. Ma è una espressione, è solo una delle manifestazioni del giornalismo.

W@H: Abbiamo visto proprio con il recente terremoto dell'Aquila come le versioni online dei giornali più importanti (Corriere della Sera, la Repubblica...) si siano basate soprattutto sui social network per ottenere notizie. Per stessa ammissione di Repubblica, le prime notizie sono giunte tramite Twitter e Facebook. È una evoluzione del giornalismo degli inviati?

De Mauro: Secondo me, no. È un fatto interessante sotto un certo punto di vista, però Twitter e Facebook in questo caso hanno soltanto prodotto delle informazioni giornalisticamente interessanti, ma non sono considerabili manifestazioni giornalistiche interessanti.
Cerco di spiegarmi meglio: sono stati un sensore che i giornalisti che hanno potuto utilizzare per decodificare gli avvenimenti in corso. È stata in un certo senso anche una forma di notizia, ma molto simile a quello che può capitare a molti di noi. Se qualcuno di noi chiama un proprio parente a L'Aquila e gli chiede cosa è successo, lui ti risponde e ti dà informazioni in tempo reale o comunque pochi minuti dopo la scossa, tutto ciò è definibile giornalismo? No, piuttosto è informarsi su quello che succede nel resto del mondo. Non lo definirei giornalismo, però è un nuovo modo di produrre materiale informativo.


Wikipedia e dintorni[modifica]

W@H: Come ha conosciuto Wikipedia? E cosa ne pensa?

De Mauro: Guardi, come l'ho conosciuta non me lo ricordo. Si perde nella notte dei tempi la prima volta che sono andato su Wikipedia... Io uso tantissimo la rete, la posta elettronica, navigo molto e vado molto a caccia di cose interessanti. D'altronde, penso faccia anche parte del mio mestiere, non lo faccio solo per diletto. Quando è nata Internazionale nel 1993, non c'era il web e neanche la posta elettronica, riservata ai soli ambienti economici e scientifici, quindi ogni tanto faccio lo sforzo di ricordare anche cos'era fare Internazionale a quell'epoca e devo dire che era davvero tutto molto diverso, imparagonabile ad oggi...
Ecco, non so come ho scoperto per la prima volta Wikipedia, ma ne penso tutto il bene possibile. Sono uno di quelli convinti della "saggezza della folla", che esistano i lati positivi di una intelligenza collettiva, soprattutto nella capacità di autocorreggersi rapidamente. Ogni volta che trovo un aggiornamento o una correzione o un update in tempo reale, resto sempre piacevolmente stupito e sorpreso. Non penso sia immaginabile un altro modello per una idea come la vostra.

W@H: Ha mai contribuito su Wikipedia o su un progetto correlato?

De Mauro: No, credo di non essere nemmeno registrato.

W@H: Wikipedia e gli altri progetti correlati rilasciano i propri contenuti secondo una licenza GFDL, che consente di riutilizzarla gratuitamente anche a scopi commerciali. Cosa ne pensa? Appoggia la scelta di questa licenza o secondo lei dovrebbe essere più restrittiva?

De Mauro: In generale sul copyright, sono uno di quelli che pensa che bisogna trovare dei modelli radicalmente nuovi, diversi, che più che ascoltare le ragioni di chi produce contenuti (musica, testi, immagini...) bisogna trovare il modo per permettere che la loro produzione continui e sia retribuita sempre più e meglio, perché questo garantisce che sempre più persone abbiano voglia di produrre contenuti.
Bisogna mettere nelle condizioni chi oggi ha 18 anni di pensare di poter vivere producendo contenuti di qualità. L'unico modo per farlo è retribuirli e – credo questo sia possibile grazie alla rete – retribuirli sempre di più, sempre meglio. Non ne faccio una ragione di tutela del copyright: non credo che con la digitalizzazione delle informazioni si possa ancora pensare al copyright nello stesso modo in cui lo si è pensato dieci, venti, trenta, cinquanta, cento anni fa. Non ha senso, è ipocrita pensarla come se esistessero ancora soltanto i libri stampati.
Nell'attesa che si trovi un sistema che ancora non c'è per retribuire questi contenuti, ognuno deve fare quello che più si sente di fare. È giusto che chi intende far pagare i propri contributi li faccia pagare, ma deve anche rendersi conto che in questo modo sta limitando l'accesso e la diffusione.

W@H: Non esiste solo Wikipedia, ma anche Wikimedia Commons, Wikibooks, Wikizionario, Wikinotizie (su cui poi verrà pubblicata quest'intervista), Wikiquote, Wikisource, Wikiversità... Li ha mai visitati? Cosa ne pensa?

De Mauro: Sì, ne ho visitati alcuni e mi sembrano interessanti. Certo, Wikipedia resta, come dire, "la madre di tutti i wiki" e questo probabilmente anche dal punto di vista della ricchezza dei contenuti, del numero di lingue, della precisione dell'identità del progetto. Gli altri però mi sembrano esperimenti interessanti e trovo giusto provare a declinare l'idea di Wikipedia su altre idee e progetti.

W@H: Da una ricerca di Nature è risultato che le voci prodotte su Wikipedia (la cui comunità è risultata essere, da un recente sondaggio svolto, in ampia parte composta da ragazzi compresi fra i 18 ed i 26 anni) sono paragonabili, in termini di qualità, a quelle prodotte dalla Encyclopædia Britannica (prodotta invece da esperti). Lo giudica un caso fortuito?

De Mauro: Lo giudico positivamente. È un dato di fatto d'altronde, mi sembra difficile contestarlo. Mi sembra assolutamente ragionevole, anzi mi sorprende che ci si possa sorprendere. Se ci si sorprendesse, sarebbe come affermare che le capacità intellettuali dipendano dall'età anagrafica, ma così non è.

W@H: Oltre alle potenzialità di Wikipedia, vede anche dei potenziali punti deboli?

De Mauro: No, non vedo punti deboli significativi che non siano quelli di cui si parla tante volte, ad esempio la possibilità che possano essere inserite informazioni sballate e che possano rimanere per un tempo sufficiente per essere replicate in rete prima che qualcuno se ne accorga. Non vedo cose specifiche che altri non vedono.


Conclusione[modifica]

W@H: Ultima domanda. Lei ha cominciato a lavorare giovanissimo. Ha anche fondato una rivista quand'era giovanissimo, in totale controtendenza rispetto all'impostazione tutta italiana, per cui se non hai meno di 40 anni non vieni considerato. Cosa consiglia ad un giovane che vuole approcciarsi al mondo del giornalismo, soprattutto in questi anni?

De Mauro: Beh, è difficile, a maggior ragione in questi anni di grande chiusura, di grandi difficoltà economiche per i quotidiani ed i giornali. In genere, quello che mi sento di consigliare è, per chi ha mezzi e possibilità, di andare all'estero e fare una esperienza importante. È fondamentale, secondo me, così come è fondamentale sapere l'inglese, molto ma molto bene, al punto di essere in grado di scriverlo bene. Credo che sia una carta, uno strumento di cui se ci si dota non ci si pente mai, un investimento che, anche a costo di sacrifici, sia importante fare.

W@H: Può essere utile magari imparare anche una seconda lingua straniera?

De Mauro: Bisogna essere realistici su questo. Sarebbe bello che, oltre all'inglese, si conoscano altre lingue, anche regionali. Ma oggi la lingua di comunicazione e di lavoro, in ambito accademico, giornalistico, professionale è l'inglese. Chi lo padroneggia molto bene ha sicuramente una marcia in più rispetto a chi non lo padroneggia o lo padroneggia con difficoltà. Se poi ci si vuol mettere un'altra lingua, perché no, però mi concentrerei più sull'inglese.



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