Cassazione: «Lei non sa chi sono io» può configurarsi come minaccia
Salerno, domenica 8 luglio 2012
«Lei non sa chi sono io» può non essere soltanto una inoffensiva rodomontata. Una recente sentenza di Cassazione stabilisce che nel contesto di un violento diverbio può contribuire a configurare il reato di minaccia.
Così ha deciso la Cassazione, annullando l'assoluzione – datata 27 aprile 2010 – contro cui il Procuratore generale della Corte d'appello di Salerno aveva sollevato ricorso e indirizzando al giudice del rinvio la raccomandazione di valutare la valenza minatoria del contesto. Il sessantenne Antonio G. – il 13 gennaio 2006 – nel corso di un diverbio con una conoscente, la signora Licia C., avrebbe adoperato l'espressione «non sai chi sono io» a sostegno della minaccia che «[glie]l'avrebbe fatta pagare».
La sentenza recita: «nel reato di minaccia elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall'autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest'ultima, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire e irrilevante l'indeterminatezza del male minacciato purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente».
Fonti
[modifica]- «È reato dire: «Lei non sa chi sono io»» – Corriere della Sera, 7 luglio 2012.
- Vincenzo Allotta ««Lei non sa chi sono io»: per Totò era una facezia, per la Cassazione una minaccia» – Corriere della Sera, 7 luglio 2012.
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