Diritto d'autore: condannati i responsabili di Pirate Bay
venerdì 17 aprile 2009
Il tribunale penale di Stoccolma, al termine di un processo durato 3 settimane, ha emesso una condanna pesantissima per i responsabili di Pirate Bay, il sito di condivisione di contenuti multimediali, accusati di aver aiutato a rendere disponibile materiale coperto da diritti d'autore; è stata riconosciuta fondata anche l'imputazione di favoreggiamento nella violazione di copyright, che si era aggiunta alla precedente nella seconda udienza del dibattimento. Lo ha reso noto lo stesso tribunale, in un comunicato stampa.
Un anno di carcere ciascuno è la pena per Peter Sunde, il trentenne fondatore del sito, per Carl Lundström, quarantottenne finanziatore, e per Fredrik Neij e Gottfrid Svartholm, ma è forse ancora più pesante l'aspetto economico della condanna: i responsabili dovranno corrispondere 30 milioni di corone svedesi (circa 2,7 milioni di euro, cioè circa 5 miliardi e mezzo di lire) alle cosiddette major, le industrie discografiche e cinematografiche che avevano intentato la causa. Assai meno rispetto alle pretese avanzate dalle major, 117 milioni di corone (10,6 milioni di euro, cioè circa 20 miliardi di lire) a titolo di risarcimento e interessi per le perdite asseritamente causate loro dalla sterminata quantità di download di file attraverso il sito, ma coincidente con quanto indicato dal pubblico ministero nella requisitoria.
The Pirate Bay (spesso abbreviato "TPB") non ospita in realtà i contenuti contestati, ma li rende disponibili attraverso link a file scaricabili con il software di condivisione BitTorrent (che resta perfettamente legale).
Su questo si è perciò basata la difesa degli imputati, affermando che non è possibile attribuire ad essi la responsabilità delle azioni degli utenti del sito, ma la corte ha dato loro torto, ritenendo che con la programmazione, la gestione ed il finanziamento del sito gli utenti siano stati "incentivati" a violare le norme sul copyright.
Fra le compagnie che avevano portato in tribunale i quattro, ci sono - ricorda Reuters - Warner Bros. (che sta lanciando un videogame per iPod dal suggestivo titolo di "Justice is coming", "la giustizia sta per arrivare"), MGM, Columbia Pictures, 20th Century Fox Films, Sony BMG, Universal e EMI.
Proprio il giorno prima della sentenza, a poca distanza dal palazzo di giustizia dove si stavano per decidere le sorti del principale sito al mondo di file-sharing, paradossalmente il museo della Tecnica di Stoccolma nel frattempo accoglieva nel suo repertorio uno dei server che erano stati già sequestrati a Pirate Bay. Come riferito da La Stampa, secondo Nils Olander, che dirige la prestigiosa istituzione, si tratta di "un oggetto della società contemporanea, e i musei collezionano questo genere di oggetti. Fa parte della missione istituzionale e non si possono evitare le questioni spinose".
Nessun commento personale ancora sul blog personale di Peter Sunde, fermo ad un post del giorno precedente la sentenza e riguardante critiche al modo in cui alcune testate giornalistiche, in particolare il canale televisivo svedese TV4, hanno dato il coverage della vicenda. Invece nella home page di TPB c'è un lungo video di commento alla sentenza, definita "crazy", in una sorta di anticonvenzionale conferenza stampa; insieme alla nota che, come nei migliori film, i "buoni" all'inizio perdono, ma vincono alla fine. BBC riferisce che Sunde, il quale aveva detto ad un giornalista britannico che TPB è come Google (limitandosi a linkare riferimenti esterni), non può e non vuole pagare quanto ordinatogli, e che ha scritto su Twitter che nulla accadrà a TPB, si tratterebbe solo di "teatro per i media". Sempre la stessa testata riporta anche la posizione delle major, impersonate dal responsabile della International Federation of the Phonographic Industry, che per ventura si chiama John Kennedy: TPB non starebbe sostenendo posizioni di principio, ma i quattro imputati sarebbero, senza meritorietà, intenti a curare gli interessi delle proprie tasche.
The Pirate Bay era stato reso irraggiungibile dall'Italia nell'agosto 2008 per disposizione della procura di Bergamo, provocando una piccata risposta pubblica del sito intitolata "Uno stato fascista censura Pirate Bay".
Fonti
[modifica]- «Web, quattro condanne a un anno di carcere in caso Pirate Bay» – Reuters, 17 aprile 2009.
- «Pirate Bay founders sent to jail» – BBC, 17 aprile 2009.
- «The Pirate Bay finisce al museo» – La Stampa, 17 aprile 2009.
- La sentenza (in lingua svedese)
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