Emergenza alimentare e gas serra: il ruolo dei biocarburanti

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sabato 8 marzo 2008

Il prezzo del petrolio, l'Effetto serra, i biocombustibili, il PAM che lancia l'allarme sugli aiuti alimentari per le popolazioni del terzo mondo. Pare che tutto questo divenga sempre più correlato, e in questi giorni parecchie e preoccupanti notizie vengono diffuse, potenzialmente incidenti sull'intero pianeta, la sua popolazione e la sua economia.

Il prezzo del petrolio sta aumentando a ritmi vertiginosi, oramai non fa nemmeno più notizia che la sua quotazione abbia oltrepassato la soglia psicologica dei 100 dollari al barile, né che questo prezzo sia praticamente raddoppiato negli ultimi 12 mesi, e nemmeno che in caso di guerra in America latina, Chávez abbia preconizzato un prezzo del petrolio a 200 dollari il barile. Questo alto prezzo e le fosche previsioni per il futuro innescano l'ovvia domanda di carburanti e combustibili in generale di diversa provenienza, rendendo attraente il ricorso a fonti "alternative", delle quali negli ultimi 2-3 anni stanno prendendo sempre più piede i "biofuels", ricavati da piantagioni come la soia e il mais. Originariamente questi carburanti erano dei prodotti residuali di raccolti come quelli del mais, mietuto e fatto fermentare, ma per decenni si è trattato di un uso locale, limitato a realtà agricole come le grandi fattorie americane. Il prezzo del petrolio, negli ultimi anni ha acceso i riflettori su questa risorsa, movimentando interessi e capitali. Tutto questo sembra allettante e necessario, senonché sono arrivati di recente dati che contraddicono tale interesse.

I problemi in sostanza sono due: uno è l'impatto ambientale, in special riguardo all'effetto serra. Il professore John Beddington, che è il principale consulente scientifico del governo britannico, ha lanciato in questi giorni un allarme basato sui dati di due analisi indipendenti pubblicate da Science. Il risultato di queste è la constatazione che i biocarburanti non producono, come spesso si è sentito dire, meno emissioni di CO2. Secondo la ricerca svolta dalle Università di Princeton e dell'Iowa, il mais tradizionale per etanolo produrrebbe oltre il doppio di anidride carbonica rispetto al previsto. Una seconda ricerca è stata svolta dall'Università del Minnesota e riguarda le aree pluviali, la cui distruzione in atto da qualche anno per guadagnare spazio per le immense coltivazioni per l'estrazione di etanolo (per esempio in Brasile) è di fatto una causa di riscaldamento del pianeta, in quanto le foreste possono assorbire molta più CO2 di quanto non facciano le coltivazioni per "biofuels".

Questo effetto di distruzione ambientale, già noto e in qualche modo "accettato" per la parte "agricola", non era però previsto nella parte relativa all'emissione di gas serra. Questi studi in sostanza sembrano una condanna senza appello per l'idea di salvare il pianeta dal surriscaldamento utilizzando i biocombustibili.

C'è però un altro problema, che era stato sollevato ma non è stato sufficientemente dibattuto fin'ora: quello della competizione tra biocarburanti e cibo. Di fatto, negli ultimi mesi l'uso per mais, soia e altre coltivazioni intensive per la produzione di biocarburanti è andato a cozzare direttamente con le coltivazioni per uso alimentare.

Questa competizione di risorse è già a suo tempo un serio problema per via dell'allevamento in grande scala di animali, che logicamente richiede l'uso di grandi quantitativi di mangimi: in altri termini l'alimentazione carnea è più dispendiosa di quella "vegetariana" e il consumo di carne, con l'aumentare del tenore di vita, è notevolmente cresciuto, mettendo in competizione la destinazione delle coltivazioni tra animali da allevamento e consumo diretto umano.

Adesso sono arrivati anche i biocarburanti, in sostanza "cibo per macchine". Il peso su di un sistema che già non riusciva a garantire un'alimentazione adeguata a centinaia di milioni di persone non ha mancato di causare effetti immediati, con una spinta inflattiva del prezzo del grano. A questo si sono aggiunti i costi della filiera di distribuzione e dei fertilizzanti, entrambi basati essenzialmente sul petrolio, le cui quotazioni sono in ascesa rapida. La cosa è diventata talmente grave che in sede ONU è stata chiesta una moratoria sulla diffusione delle coltivazioni per biocarburanti. A tutto questo si aggiungono i problemi dati dal cambiamento climatico e dalla perdita di superfici coltivabili, desertificate o cementificate.

Ora il PAM, Programma Alimentare Mondiale è in grave difficoltà: nel 2008 era prevista l'assistenza a 73 milioni di persone con un bilancio di 2,9 miliardi di dollari, ma la direttrice Josette Sheeran ha richiesto un aiuto supplementare di 330 milioni di dollari per rendere possibile tale intenzione, e al contempo ha chiesto alla Comunità internazionale di valutare attentamente l'impatto dei biocarburanti sulla produzione agricola per scopi alimentari. La situazione infatti sta precipitando con il prezzo del grano aumentato del 100% in un anno, rendendo in questo modo drammatica la situazione di intere nazioni povere che in sostanza, rischiano di non potere importare più alimenti in quantità sufficiente, specie quelli che si sono convertiti da una agricoltura di sussistenza a monoculture intensive (es. caffè) che possono subire variazioni significative del prezzo, non necessariamente in rialzo, o distruzioni causate da gravi calamità naturali.

La questione posta dai biocarburanti è talmente grave che Jean Ziegler, della commissione diritti umani dell'ONU ha chiesto di rimandare di 5 anni la produzione di carburanti ottenuti da coltivazioni utilizzabili per scopi alimentari, condannandone l'uso in maniera durissima: «convertire suolo agricolo produttivo in suolo che produce cibo che viene bruciato come biocombustibile è un crimine contro l’umanità».

L'umanità di cui parla Ziegler è in buona parte stanziata in Africa, la "culla del genere umano". Nel 1972 si stima che vi fossero 81 milioni di persone denutrite nella sola Africa, circa il 135% della popolazione italiana attuale. 30 anni dopo erano diventate 202 milioni.

Al riguardo, è interessante ricordare la volontà ufficialmente declamata in sede internazionale (es. G8) di dimezzare il numero di "affamati" entro il 2015, cosa non certo aiutata dall'attuale competizione tra grano e biocarburanti.

Ma questa carestia non è dovuta a un problema di 'produzione', quanto di utilizzo e di distribuzione. La FAO calcola che il cibo prodotto nel mondo sia in realtà sufficiente per 12 miliardi di persone, che sono quasi il doppio degli abitanti attuali della Terra. Ma la quantità di sprechi è tale che circa 1 miliardo di persone soffrono di malnutrizione cronica. Ziegler ha rincarato la dose in merito spiegando che: «Tutte le cause della fame sono umane. È un problema di accesso alle risorse, non di sovrappopolazione o di sottoproduzione. Questa situazione può essere cambiata con decisioni umane».

A questo proposito, la Commissione europea ha confermato l'intendimento di raggiungere il 10% di biocarburanti entro il 2020.

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Fonti[modifica]