Scandalo a Bologna. Politici pagano i giornalisti per essere intervistati

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mercoledì 15 agosto 2012

La sede della regione Emilia-Romagna, a Bologna.

Lo scandalo ha fatto irruzione a ferragosto 2012, nel pieno di un'estate calda, non solo per ragioni climatiche, quando è emerso che, nella regione Emilia-Romagna, politici locali di vari orientamenti coltivano l'usanza di fare a gara per "retribuire" i giornalisti che li intervistano: i politici, con tanto di stipula contrattuale, sogliono tenere a libro paga le loro controparti, quelli che, secondo la visione anglosassone del ruolo dell'informazione, dovrebbero essere i "cani da guardia" dell'agire politico.

È successo a Bologna, in seno al consiglio regionale, dove si è scoperto che, in cambio della promessa di un'"attenzione" mediatica, alcuni giornalistici passano alla cassa della politica e si fanno pagare in base al numero di interviste garantite al personaggio politico. Questa devianza nel ruolo della classe professionale dei giornalistici non sarebbe un caso isolato, ma un fenomeno piuttosto diffuso, che coinvolge vari schieramenti politici (anche se non tutti), compresi quelli che, come il MoVimento 5 Stelle di Beppe Grillo, coinvolto con la persona del consigliere Giovanni Favia, fondano la loro forza politica e la loro capacità di attrazione del consenso, sulla proposizione di se stessi come movimento di denuncia anti-casta e sulla rinuncia ostentata alla ricerca di una martellante esposizione mediatica che accomunerebbe, invece, i partiti tradizionali.

La percezione di questa stortura sarebbe tuttavia piuttosto affievolita: alcuni dei politici scoperti hanno infatti dichiarato trattarsi di una prassi diffusa e, a loro dire, del tutto legale. A riprova di questo, fanno notare come le "prestazioni giornalistiche" siano addebitate tramite regolare fatturazione IVA. È stato Galeazzo Bignami, esponente del Popolo delle Libertà, che candidamente esibito una fattura di addebito delle prestazioni giornalistiche, per un ammontare di 1500 euro a fronte di cinque interviste concesse a una rete televisiva. Si tratta della syndication 7 Gold, ma si avanzano voci sul coinvolgimento di altre testate televisive, come è TV, che fa riferimento alla Curia vescovile dell'Arcidiocesi di Bologna. Si tratta, a quanto sembra, di un corrispettivo in linea con quello che potrebbe essere definito come una sorta di "tariffario" ufficioso, in cui ciascuna intervista o comparsa televisiva viene ricompensata dai politici con una somma dai 200 ai 500 euro.

La variabilità del prezzo da pagare dipenderebbe anche dalla quantità, vista la previsione di veri e propri sconti nel caso di acquisto di pacchetti più nutriti di interventi video. Gianguido Naldi, di Sel, ad esempio, si sarebbe proposto a èTV per comparire in una rubrica politica sul lavoro, con la presenza di un moderatore e di un esponente del PdL: in questo caso, la tariffa richiesta dalla televisione della Curia diocesana bolognese era di 2400 per 4 uscite in video (600 euro a puntata), con la previsione di uno sconto considerevole per 8 puntate, per cui la tariffa era di 3600 euro (450 euro a puntata).

C'è anche chi, una volta scoperto, ricorre a un'abusata tecnica di neutralizzazione, tipica della devianza dai compiti istituzionali, quella del "così fan tutti", già ripetutamente invocata, come un mantra, ai tempi di Tangentopoli: è questo il caso di Silvia Noé, dell'Unione dei Democratici Cristiani e di Centro, secondo cui quella delle interviste a pagamento non sarebbe un'eccezione, ma un costume diffuso e consolidato.

Tra gli schieramenti politici coinvolti nello scandalo, oltre ai già citati PdL e UDC, vi sono la Lega Nord di Roberto Maroni, con il consigliere Manes Bernardini, Sinistra Ecologia Libertà di Nichi Vendola, con Gian Guido Naldi, e la Federazione della Sinistra, con Roberto Sconciaforni.

Tra i pochi che non avrebbero aderito a questo costume, vi sarebbe il Partito Democratico, che, anzi, si dichiara esplicitamente estraneo alla vicenda e invoca l'intervento dell'Ordine nazionale dei giornalisti al fine di fare chiarezza su episodi che appaiono trasgressivi degli obblighi codificati dal Codice deontologico dei giornalisti. A tale proposito, la Federazione Nazionale Stampa Italiana dell'Emilia-Romagna starebbe per aprire un'inchiesta e lo stesso si accingerebbe a fare l'Ordine professionale dei giornalisti.

Alla gravità della situazione si aggiungerebbe poi il fatto che, per alimentare questi rapporti anomali tra sottobosco politico e professionisti dell'informazione stampata e televisiva, i politici sarebbero ricorso a denaro pubblico, un uso disinvolto anche del finanziamento ai partiti da cui non sarebbe esente chi, come il grillino Giovanni Favia, appartiene a un movimento politico che fa della denuncia anti-spreco e anti-casta una cifra distintiva, utilizzata come arma quotidiana di dialettica e battaglia politica.

Fonti[modifica]