Scoppia il caso delle mine antiuomo in Birmania
giovedì 7 settembre 2017
Il 5 settembre 2017 un ragazzo Rohingya ha perso una gamba mentre fuggiva da quella che ormai può essere definita una vera e propria “pulizia etnica” da parte della Birmania. In questo paese, infatti, sul confine con il Bangladesh è stato allestito un vero e proprio campo minato, nonostante la leader Birmana Aung San Suu Kyi abbia negato ogni accusa, replicando che le mine in questione erano state piazzate negli anni 90 o da eventuali terroristi. Ma ad incriminare la Birmania sono le testimonianze di alcuni profughi che hanno visto soldati Birmani piazzare tre dischi di dieci centimetri nel fango nella suddetta zona. Sono circa diecimila i disperati che cercano ad arrivare al confine del Bangladesh attraversando mari, paludi e fiumi, ma purtroppo non tutti riescono a sfuggire all’esercito Birmano famoso per i suoi metodi feroci. Ormai la crisi ha assunto sempre più una dimensione internazionale seria, grazie all’intervento dell’ONU e del premier indiano, il quale ha incontrato la leader Birmana per firmare vari accordi tra i due paesi, ricordandole il rischio di reclutamento dei profughi da parte delle organizzazioni terroristiche.
Fonti
[modifica]- Carlo Pizzati, «Birmania, mine antiuomo al confine, per impedire il ritorno dei Rohingya» – LASTAMPA del 7 settembre 2017, p. 7, 7 settembre 2017.
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