La sostenibilità ambientale chiave per la prevenzione dei conflitti

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domenica 8 giugno 2008

Il fattore ambientale diventa sempre più spesso causa di crisi internazionali, se non addirittura di conflitti armati. Per questo, per gestire fenomeni come i cambiamenti climatici, le risorse idriche ed energetiche, la deforestazione, la desertificazione, è necessaria una analisi strategica di lungo periodo basata sulla geopolitica dell’ambiente.

È questo uno degli aspetti emersi da un incontro organizzato il 6 giugno scorso a Roma dalla SIOI (Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale), ente morale internazionalistico fondato nel 1944, in occasione della presentazione del volume “Geopolitica dell’ambiente - Sostenibilità, conflitti e cambiamenti globali”, edito da Franco Angeli.

Un testo fortemente innovativo, come hanno fatto notare i relatori del dibattito, che richiama per la prima volta in Italia le connessioni ormai innegabili tra lo sviluppo sostenibile, la sicurezza e la prevenzione dei conflitti.

Corrado Maria Daclon con il segretario generale della NATO Anders Fogh Rasmussen

Significativa la citazione di un’analisi sul Darfur del segretario generale dell’ONU, Ban Ki Moon, che il presidente della SIOI Umberto La Rocca, già ambasciatore italiano alle Nazioni Unite, ha voluto sottolineare: “Ogni volta che si discute di Darfur se ne parla in termini militari e politici, come di un conflitto etnico che contrappone le milizie arabe ai ribelli neri e ai contadini, guardate invece alle cause scatenanti e scoprirete una dinamica più complessa. Negli ultimi vent’anni il Sudan ha registrato un calo nelle precipitazioni, dovuto in parte al riscaldamento globale causato dalle attività umane. Gli agricoltori stanziali e i pastori nomadi che abitano il Darfur hanno convissuto pacificamente fino a quando siccità e mancanza di cibo hanno scatenato una tragedia di cui oggi siamo testimoni”.

L’autore del volume, il globalista Corrado Maria Daclon, che è docente presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, membro a Bruxelles del progetto "Science for Peace and Security Programme" della NATO e consulente di numerose organizzazioni internazionali, ha ricordato come per una serie di variabili quali la globalizzazione, l'informatica, la finanza internazionale, si è passati ormai da una "geopolitica degli spazi" ad una "geopolitica dei flussi": in generale il territorio ha perduto quello che era il suo valore originario dal profilo strategico.

Le forze militari vengono impiegate non più tanto per conquistare territori ma per garantire stabilità a quei flussi economici, energetici, informativi, che costituiscono le vere risorse, incluse quindi le risorse naturali.

Non è un caso che diverse organizzazioni internazionali come la NATO e governi di tutto il mondo si stiano occupando attivamente del settore "environmental security" per cercare di risolvere o mitigare problemi ambientali magari non immediati, ma che possono rivelarsi generatori di conflitti negli anni o nei decenni a venire, come ad esempio la questione dell’acqua, gli squilibri demografici e di approvvigionamento di risorse alimentari, i mutamenti del clima.

Un esempio a sostegno di questa analisi è stato portato nel dibattito dal ministro consigliere John Dwyer, già Assistant Secretary of State al Dipartimento di Stato a Washington e stretto collaboratore di Colin Powell, citando una frase emblematica dell’allora Segretario di Stato americano: “Povertà, degrado ambientale e disuguaglianze recano danni ai popoli, alle società, alle nazioni, e possono destabilizzare Stati ed intere regioni del pianeta”.

Un tema complesso, quindi, ed al tempo stesso urgente, come ha richiamato l’ambasciatore Giampiero Massolo, segretario generale del Ministero degli Affari Esteri, nel suo intervento. Un tema che richiede una attenzione della “governance” mondiale e scenari di lungo termine, ponendo l’attenzione sulla sicurezza ambientale come chiave per la pace e per la prevenzione dei conflitti armati.

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