Devoluzione e riforma Costituzionale
18 novembre 2005
Il Senato approva la riforma costituzionale e la devoluzione
Con questa riforma, il Parlamento ha dato il via libera alla modifica di una cinquantina di articoli della Costituzione Italiana e ha permesso, nonostante le spaccature all’interno della maggioranza, la realizzazione del progetto politico basato sul federalismo, voluto dalla Lega Nord, e sul premierato forte, modificando profondamente le istituzioni repubblicane e l'equilibrio dei poteri.
- Nota: gli articoli cui si rimanda in questa pagina sono quelli della Costituzione attualmente in vigore. Per un confronto dei testi vedere i collegamenti a fondo pagina.
L’iter della riforma costituzionale
- 15 ottobre 2004: la Camera approva la riforma in prima lettura
- 23 marzo 2005: il Senato approva la riforma in seconda lettura
- 20 ottobre 2005: la Camera approva la riforma in terza lettura
- 16 novembre 2005: con 170 sì, 132 no e 3 astenuti il Senato approva il disegno di legge 2544.
Il disegno di legge verrà sottoposto a referendum confermativo in quanto, nella seconda votazione alle Camere, non sono stati raggiunti i due terzi dei consensi. Il referendum non richiede il raggiungimento del quorum e la legge viene promulgata se i voti favorevoli superano quelli sfavorevoli. Il referendum si terrà il 25 e 26 giugno 2006.
In caso di promulgazione, l'entrata in vigore delle modifiche alla maggior parte degli articoli della Costituzione si applicano a partire dalla «prima legislatura successiva a quella in corso alla data di entrata in vigore» della legge stessa, cioè a partire dalla prossima legislatura (art. 53 del disegno di legge) .
Parte degli articoli si applicano invece «dalla data di entrata in vigore della» legge [1].
La devoluzione
Tra le più importanti mutazioni apportate all’architettura dello Stato, spicca la devoluzione, che consiste nel decentramento dei poteri che oggi sono nelle mani del Governo, completando il percorso iniziato dalla riforma costituzionale del 2001. Vengono aggiunte alle materie di esclusiva competenza regionale le seguenti funzioni:
- assistenza e organizzazione sanitaria;
- organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche;
- definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione;
- polizia amministrativa regionale e locale.
Attualmente queste materie rientrano nelle competenze concorrenti di Stato e regioni (ovvero, per esse la regione può dettare norme di dettaglio soltanto nei limiti dei principi stabiliti dallo Stato) (art. 117 [1] e 118 [1]). Con l'eventuale passaggio della riforma, solo le regioni potranno legiferare in proposito e lo Stato perderà la potestà normativa, mantenendo però la sovranità attraverso la clausola per l'interesse nazionale.
Tornano alla competenza esclusiva dello Stato: le norme generali sulla tutela della salute, la sicurezza del lavoro, le grandi reti strategiche di trasporto e di navigazione, l'ordinamento della comunicazione, l'ordinamento delle professioni intellettuali l'ordinamento sportivo nazionale, la produzione strategica, il trasporto e la distribuzione nazionali dell'energia.
Prevista una clausola per l’interesse nazionale, che conferisce al governo la facoltà di invitare le regioni alla modifica di leggi che pregiudichino l’interesse nazionale entro quindici giorni dalla sua pubblicazione. In caso di risposta negativa, il governo potrà sottoporre la questione al Parlamento, che avrà altri quindici giorni di tempo per annullarla (art. 127 [1]).
Il Parlamento
La Camera dei Deputati
Alla Camera viene ridotto il numero di deputati da 630 a 518, mentre vengono aumentati da 12 a 18 quelli eletti nella circoscrizione degli italiani all’estero. L'età minima per essere eletti scende da 25 a 21 anni (art. 56).
I senatori a vita vengono sostituiti dai deputati a vita, che vengono nomitati dal Presidente della Repubblica e non possono in alcun caso essere più di 3, oltre agli stessi ex Presidenti. L'attuale Costituzione prevede che il Presidente possa nominare fino a 5 senatori a vita (art. 59).
Il Senato federale
Sostanziali i cambiamenti anche al Senato, ribattezzato Senato federale, di cui faranno parte solo 252 senatori invece di 315, l’età minima per l’elezione scende da 40 a 25 anni e non c'è più il limite minimo di 25 anni per l'elettore. Inoltre all'elezione non partecipano più le circoscrizioni estero e ai lavori del Senato partecipano anche 42 rappresentanti di regioni e province autonome che però non hanno alcun diritto di voto (art. 57 e 58).
Il Senato non viene mai sciolto, infatti i suoi membri vengono rinnovati in occasione delle elezioni Regionali, ma non ha più la possibilità di sfiduciare il Governo. Le eventuali commissioni d'inchiesta del Senato non potranno più avere poteri giudiziari (art. 82).
La formazione delle leggi
Non esiste più il bicameralismo perfetto, dato che le Camere non svolgono più le stesse funzioni su un piano di parità. Infatti spetta alla Camera decidere su tutte le questioni riguardanti lo Stato, mentre il Senato si occupa di legiferare su materie concorrenti, cioè riguardanti sia lo Stato che le Regioni (art. 70).
Entrambe le camere possono esaminare ed apportare modifiche alle leggi approvate nell'altra camera entro 30 giorni dalla loro approvazione, ma l'ultima parola spetta comunque alla camera competente.
Nel caso il Governo ritenga di dover apportare delle modifiche, necessarie all'attuazione del suo programma, ad un disegno di legge sottoposto all'esame del Senato, il Presidente della Repubblica può autorizzare il Presidente del Consiglio richiederle al Senato stesso. Nel caso non venissero accolte, il disegno legge passerebbe alla Camera per la decisione definitiva sulle modifiche proposte.
Il Presidente della Repubblica
L'elezione del Presidente della Repubblica viene effettuata dall'Assemblea della Repubblica, che è composta dai 770 parlamentari, contro i precedenti 945, più un numero imprecisato di delegati regionali e provinciali, determinato da 58 + 1 delegato per ogni milione di abitanti in ogni regione, contro i precedenti 58 delegati. L'età minima per candidarsi alla Presidenza si abbassa da 50 a 40 anni (art. 83, 84 [1] e 87).
Il Presidente non ha più la facoltà di decretare lo scioglimento delle Camere. Per la Camera questo potere è passato nelle mani del Presidente del Consiglio o, in caso di morte o dimissioni di quest'ultimo, nelle mani della Camera stessa. Il Senato invece non può più essere sciolto in nessun caso (art. 88).
Un altro potere rimosso è la scelta sulla nomina del Presidente del Consiglio, che viene invece «scelto sulla base dei risultati delle elezioni della Camera dei Deputati», e dei ministri, che vengono eletti dal Presidente del Consiglio (art. 92 e 95).
Infine i disegni di legge presentati dal Governo alle camere non dovranno più essere autorizzati dal Presidente della Repubblica.
Il premierato
Notevolmente rafforzati i poteri del Presidente del Consiglio che cambia nome in Primo Ministro, viene nominato in base ai risultati elettorali e può richiedere lo scioglimento della Camera. A lui è riservata la nomina e la revoca dei ministri e non viene richiesta la fiducia alle Camere per il suo insediamento.
Il Primo Ministro può di propria iniziativa richiedere ed ottenere lo scioglimento della Camera al Presidente della Repubblica, con conseguenti elezioni politiche, mentre attualmente questa è una prerogativa del Presidente della Repubblica.
Le dimissioni del Primo Ministro possono essere obbligate solo dalla Camera, che può proporre un nuovo candidato, attraverso la «sfiducia costruttiva», o provocare lo scioglimento della Camera stessa, indicendo nuove elezioni. È prevista una norma anti-ribaltone, che convalida la mozione di sfiducia nel caso sia stata respinta con il voto determinante di deputati non appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni (art. 94).
Infatti nella mozione di sfiducia costruttiva la Camera dichiara di voler continuare nell'attuazione del programma e indica un nuovo primo ministro. In pratica, la fiducia al nuovo primo ministro verrebbe ad essere contemporanea alla sfiducia espressa nei confronti del precedente. La mozione di sfiducia dovrà essere sostenuta da un numero di deputati «appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni» non inferiore alla maggioranza dei componenti della Camera, ossia non inferiore a 260. Ciò significa che, a seconda del numero di deputati di maggioranza, pochi deputati della maggioranza stessa potranno impedire qualsiasi sfiducia costruttiva, anche se essa avesse l'appoggio della maggioranza dell'aula.
Il numero dei deputati sufficienti ad impedire la sfiducia costruttiva è dato sottraendo 259 dal numero di deputati della maggioranza. In altre parole dalla metà della differenza tra il numero di deputati di maggioranza e quelli di opposizione. Più è piccola la distanza numerica tra maggioranza ed opposizione e più è a rischio la possibilità di approvare una mozione di sfiducia costruttiva in quanto minore è il numero di deputati sufficiente a farla fallire. Nel caso limite di una maggioranza di 260 deputati contro i 258 dell'opposizione sarà sufficiente che un solo deputato della maggioranza non firmi la mozione di sfiducia costruttiva per farla fallire.
La Corte costituzionale
La Corte costituzionale continua ad esser composta da 15 giudici, ma salgono da 5 a 7 quelli di nomina parlamentare e scendono da 5 a 4 sia quelli nominati dal Presidente della Repubblica, sia quelli nominati dalle supreme magistrature ordinaria e amministrative. All'interno delle nomine parlamentari 3 saranno riservati alla Camera e 4 al Senato integrato dai rappresentanti di regioni e province autonome (art. 135).
Viene aggiunta la clausola che nei successivi 3 anni i giudici non possano ricoprire incarichi di governo, cariche pubbliche elettive o di nomina governativa o svolgere funzioni in organi o enti pubblici individuati dalla legge.
Il Consiglio Superiore della Magistratura
La nomina del vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura spetta ora al Presidente della Repubblica e i magistrati eletti dal Parlamento, un terzo, vengono eletti separatamente da entrambe le camere (art. 104).
Roma capitale
Roma, la capitale, gode di forme di autonomia anche normativa, in materia di competenze regionali, nei limiti stabiliti dallo statuto della Regione Lazio (art. 114 [1]).
I referendum costituzionali
È stata aggiunta la possibilità di ricorrere al referendum sulle modifiche costituzionali anche se i cambiamenti sono stati approvati a maggioranza di due terzi delle camere (art. 138).
Le reazioni
Diverse le reazioni delle forze politiche, soddisfatta la maggioranza, salvo qualche eccezione, e contrari l’opposizione, la Confindustria e la Chiesa, che sperano nel referendum.
Il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, si è detto soddisfatto e ha affermato: «ora sono sicuro di vincere, stiamo davvero cambiando l'Italia». In Forza Italia, anche Bondi esprime soddisfazione: «non è ancora chiaro a tutti il valore storico della riforma costituzionale che oggi il Senato approva in via definitiva. Per l'opposizione questa riforma distrugge semplicemente l'unità dello Stato e della Nazione. Con il tempo questo giudizio apparirà totalmente falso e opposto alla verità storica. In realtà, questo è l'unico governo nella storia della Repubblica, dopo innumerevoli tentativi falliti nel corso degli ultimi trent'anni, che è riuscito a portare a compimento una modernizzazione della forma di governo e ad introdurre un inizio di federalismo». La Lega Nord si è fatta sentire con Calderoli, che ha dichiarato: «è la riforma di tutta la coalizione e l'avere imposto un metodo di collegialità che ha portato, non solo alla riforma costituzionale, ma a tutte quelle che arriveranno a fine Legislatura». Anche Bossi, presente in Senato con la sua famiglia, si è detto soddisfatto. Fini, di Alleanza Nazionale, definisce gradita la presenza dell’ex Senatur in Senato, dicendo che «hanno parlato i fatti: i voti dell'Aula. Questo è il mio unico commento». A spezzare il clima di allegria ci ha pensato Marco Follini, UDC, che ha dichiarato: «dopo il quarto voto parlamentare sulla riforma costituzionale resta apertissima la questione di come ricucire il tessuto istituzionale dopo due legislature passate all'insegna della controversia. Continuo a credere che una buona idea sia quella di smilitarizzare il prossimo referendum, lasciando agli elettori una piena libertà di coscienza. Vorrei ricordare che nel '46 la Dc di fronte al bivio, ben più drammatico, del referendum fra Repubblica e Monarchia scelse secondo questo stesso principio, contribuendo anche così a tenere il Paese più unito intorno alle sue nuove istituzioni». Più drastico il vicepresidente del Senato Fisichella, che ha detto: «credo di aver fatto qualcosa per la nascita e lo sviluppo di AN, al cui interno mi sono costantemente impegnato perché fosse evitato l'esito federalista. Oggi siamo all'epilogo. Ne prendo serenamente atto senza malanimo verso nessuno: lascio AN. Le mi dimissioni decorrono dal momento dell'approvazione di questa riforma costituzionale, cioè tra pochi minuti».
Compatto il no dell’opposizione con Romano Prodi, leader de L'Unione, che esprime una «profonda amarezza, come cittadino e come uomo politico», per una riforma che «cambia radicalmente il volto della nostra Repubblica e della democrazia italiana. È una riforma incoerente e squilibrata che svuota il Parlamento senza rafforzare davvero la capacità di governo, che rende il Presidente del consiglio fortissimo con la Camera dei deputati e debolissimo col Senato, che rende interminabile il procedimento legislativo, che sottrae potere al Presidente della Repubblica e umilia tutte le istituzioni di garanzia, che crea un Senato privo di ogni reale rappresentatività delle regioni e delle autonomie locali, mentre si ampliano le competenze regionali fino al punto di mettere a serio rischio, aprendo la via a inaccettabili disparità fra i cittadini, la stessa unità sostanziale della Repubblica». Il capogruppo dei Democratici di Sinistra Gavino Angius commenta dicendo che «questa pagina nera del Parlamento la scrivono oggi una maggioranza e un governo che hanno accettato dall'inizio della legislatura il ricatto politico della Lega. O si cambiava la Costituzione come voleva la Lega o non esistevano più nè la maggioranza nè il governo. Tutto nasce da qui, da uno squallido patto di maggioranza. Questa legge danneggia il Paese». Willer Bordon, de La Margherita, ha aggiunto: «per la destra è una vittoria di Pirro. Siamo davanti all'atto più grave dell'intera legislatura. Ma ci sarà il referendum e la netta, clamorosa bocciatura di questo pericoloso insulto costituzionale. Lo sanno Berlusconi, Fini e Casini ma a dettare legge nella Casa delle Libertà è stato il ricatto della Lega e della sua fantomatica repubblica padana».
Ai commenti negativi si unisce il presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo, che alla domanda «le piace la devolution?» ha risposto: «no, noi preferiamo mantenere l'unità su un colore, su un marchio, su un brand e non diluirlo in tante Regioni o in tanti localismi». Critica anche la Chiesa, che ha definito la devolution «poco solidale», specie nell’ambito della sanità e aggiunge che sono in corso «cambiamenti assai rilevanti e non sempre del tutto chiari nella forma di governo. Il testo della riforma infatti lungi dal limitarsi alla cosiddetta devolution, su cui si è fatto il massimo del battage, comporta cambiamenti assai rilevanti e non sempre del tutto chiari nella forma di governo, tanto da portare a quella che allora sì si potrebbe chiamare una seconda Repubblica». Il cardinale Camillo Ruini, presidente della CEI, ha sottolineato la necessità di tutelare le regioni meridionali nei meccanismi di regionalizzazione della sanità
Fonti
Su Wikisource è disponibile il testo Costituzione della Repubblica italiana.
- «Devolution, sì definitivo del Senato» – ADNKronos, 16 novembre 2005.
- «Devolution, dal Senato sì definitivo. L'Unione: 'Un danno per il Paese'» – la Repubblica, 16 novembre 2005.
- «Sì alla devolution, la Cdl esulta, Follini e Fisichella rovinano la festa» – la Repubblica, 16 novembre 2005.
- «Non solo devolution nel voto di oggi» – La Stampa, 16 novembre 2005.
- «Ultimo sì, la devolution è diventata legge» – Corriere della Sera, 17 novembre 2005.
- «La Cei critica la devolution: non è solidale» – Corriere della Sera, 18 novembre 2005.
- «Devolution, i dubbi di Montezemolo» – Corriere della Sera, 18 novembre 2005.